Il monte Civetta, un colosso dolomitico
Il gruppo montuoso del monte Civetta, maestosa cima delle Dolomiti, sviluppa la sua morfologia su un territorio davvero vasto. Noto in ambiente alpinistico principalmente per la sua imponente parete nord-ovest, conta di innumerevoli cime “minori”.
Definirle minori mi suona però strano, in quanto molte strutture del Civetta sovrastano le valli con pareti altissime. La Cima della Busazza, ad esempio, si erge dal bosco per oltre 1000 metri.
Ho trovato una dettagliata descrizione del gruppo del monte Civetta nella sezione “Grandi Storie” del portale Sherpa-Gate.
Se ami la montagna, se sei sensibile alla protezione dell’ambiente, se ti appassiona la cultura alpina ed i personaggi che ne hanno fatto la storia, se tutto questo ti intriga, ti suggerisco di dare un’occhiata a questo gigantesco contenitore di contenuti.
Sherpa-Gate è un portale che contiene sezioni proprie. La più nota di queste è forse GognaBlog, ma oggi mi piace citare la sezione “Grandi Storie”, alla quale sono arrivato mentre cercavo una relazione della via di Renzo Videsott, Leo Rittler e Domenico Rudatis sulla Cima della Busazza. Oltre alla descrizione di questa salita, scritta dallo stesso Rudatis, l’articolo fornisce un’esaustiva descrizione geografica del gruppo del monte Civetta, che riporto più in basso su questa pagina.
Indice dei contenuti
- Domande e risposte
- Note di alpinismo
- Sottogruppo delle Moiazze
- Descrizione del gruppo montuoso del Civetta
- La complessità del monte Civetta
- Accesso al settore meridionale del monte Civetta
- Il rifugio Vazzoler e la Val Civetta
- Monte Civetta, un gigante non solo dolomitico
- La prima salita dello spiolo sud-ovest della Cima della Busazza
Iniziamo con curiosità e informazioni spicciole
Il monte Civetta è citato per la prima volta in un documento del 1665 come Zuìta, mentre viene riportato nella cartografia ufficiale a partire dal 1774.
L’origine del nome è stata a lungo discussa. Prevalgono principalmente due ipotesi: la prima lo avvicina al latino civitas, in quanto il versante che dà su Alleghe somiglierebbe ad una città turrita; Domenico Rudatis, oltre ad esser stato un famoso alpinista e scrittore, si occupava di esoterismo. Egli collega il nome Civetta alla parola latina “Civitas”. Nel suo libro “Liberazione” Rudatis spiega nel dettaglio i motivi per i quali civitas È il nome, e sostiene con forza la sua tesi.
Antonio Stoppani descrive il monte come una grande “città turrita e merlata”.
Altri, osservando che il monte viene chiamato Civetta (Zuìta) anche nello Zoldano, dove la caratteristica parete non è visibile, lo rimandano al rapace notturno, forse perché in passato la montagna era ritenuta portatrice di disgrazie o maledetta. Alcuni autori preferiscono utilizzare la forma femminile “La Civetta”.
Oltre alle vie di arrampicata, tre sono le vie d’accesso a questo gigante delle Dolomiti: la via normale (attrezzata), e due vie ferrate: la Ferrata degli Alleghesi, che permette di raggiungere la vetta passando per Punta Civetta e Punta Tissi e la Ferrata Tissi con partenza da Malga Grava al Rifugio Torrani, lungo il fianco sud-ovest della Civetta Bassa. Tutte e due le ferrate sono adatte solo a persone esperte e ben allenate.
La via normale del Civetta sale per il vallone orientale e consiste in gran parte in una ferrata di moderate difficoltà. La salita è assai lunga, il panorama incredibile. La visione del rifugio Torrani poco sotto la vetta appare come un miraggio, ed è ovviamente assai gradita. L’itinerario è differenziato a seconda del percorso scelto per raggiungere l’attacco. L’impegno complessivo è notevole. Solo per esperti e con ottime condizioni meteorologiche!
Essendo il gruppo montuoso così esteso, numerosissime sono le escursioni possibili, dalle più facili passeggiate ai più impegnativi percorsi in quota. I principali rifugi del gruppo del monte Civetta sono:
1. il rifugio Maria Vittoria Torrani posto nel comune di Zoldo Alto a 200 metri dalla vetta, sul Pian della Tenda a quota 2.984 m.
2. Il rifugio Sonino al Coldai, che si trova in Val Ziolere nel comune di Zoldo Alto a quota 2.132 m e può essere raggiunto da Palafavera seguendo i sentieri escursionistici 564 e 556 o da Alleghe.
3. Il rifugio Mario Vazzoler, situato alle pendici del gruppo del Civetta in Val Corpassa nel comune di Taibon Agordino a 1.714 m d’altezza e può essere raggiunto dal rifugio Capanna Trieste, a cui si accede anche in auto.
4. Il rifugio Attilio Tissi, posto sul Col Reàn nel comune di Alleghe proprio nei presi della grande parete nord-ovest, a 2.250 m d’altitudine. Il Tissi può essere raggiunto dal rifugio Sonino al Coldai attraverso la Forcella Col Negro o dal Rifugio Vazzoler.
5. Il rifugio Bruto Carestiato (1834 m. s.l.m.), situato in posizione quanto mai soleggiata, alla base dei bastioni meridionali della cresta delle Masenade nel gruppo della Moiazza. Facile meta in 45 minuti dal Passo Duran, è punto di riferimento per i percorritori dell’Alta Via delle Dolomiti n° 1.
Veniamo ora alle escursioni più gettonate.
Una delle mète più più popolari è il rifugio Coldai, incastonato tra rocce maestose come il vicino lago dalle acque cristalline. Una leggenda narra che un drago dalle grandi ali viveva nel lago. Un grosso drago dagli occhi infuocati che amava starsene nella sua tana, volando poco, e quando lo faceva raggiungeva in volo il Lago Fedaia. Le rare volte che gli abitanti lo vedevano sapevano che sarebbero arrivate calamità naturali o tempi difficili. Si dice che fu visto per l’ultima volta poco prima della frana del Monte Piz, che andò a formare il lago di Alleghe!
Dal Coldai, proseguendo lungo la Val Civetta è possibile raggiungere il rifugio Tissi (2250 m) e più avanti il rifugio Vazzoler (1714 m), un’escursione nel complesso di circa 7 ore, altamente panoramica e spettacolare. Entrambi i rifugi sono raggiungibili anche da valle, rispettivamente da Alleghe e da Listolade.
Sul versante est trovi il sentiero Tivan, sentiero in parte attrezzato e famoso per la sua bellezza.
Non posso tralasciare di segnalare il giro ad anello del monte Civetta , un percorso da fare in due giorni che resterà per sempre nella tua memoria.
A sud, facilmente raggiungibile dal Passo Duran attraverso una comoda sterrata o percorrendo facili sentieri, troviamo il rifugio Bruto Carestiato (1834 m), sovrastato dalle pareti della Moiazza, con una vista suggestiva sulle vallate dell’Agordino.
La Transcivetta è una lunga gara di corsa in montagna, che si svolge di solito a luglio. Un percorso impegnativo di 23 km con partenza da Listolade/Taibon Agordino e arrivo ai Piani di Pezzè/Alleghe, toccando i rifugi Capanna Trieste, Vazzoler, Tissi e Coldai.
Numerose sono le vie di comunicazione che portano nell’area del monte Civetta. In auto la strada principale è la statale 203 “agordina” che attraversa la valle (le autostrade sono la A27 uscita Belluno – A31 uscita Dueville – A13 uscita Padova Ovest – A22 uscita Bressanone). La stazione ferroviaria di riferimento è quella di Belluno, raggiungibile da Padova o da Venezia. Dalla stazione è poi disponibile il servizio di autobus locali. Gli aeroporti più vicini sono quelli di Treviso, Venezia e Verona.
Sì. Secondo la clasificazione della Fondazione Dolomiti UNESCO il Civetta è parte della macroarea Pale di San Martino, San Lucano, Vette Feltrine e Dolomiti Bellunesi, 3° dei nove sistemi ufficiali riconosciuti e tutelati ufficialmente dall’UNESCO.
L’enrosadira è il fenomeno per cui la maggior parte delle cime delle Dolomiti assume un colore rossastro, che passa gradatamente al viola, soprattutto all’alba e al tramonto. Anche il monte Civetta non si sottrae a questo meraviglioso fenomeno. L’enrosadira è ben visibile nelle sere d’estate, quando l’aria è particolarmente limpida ed i tramonti sono più lunghi. Questo evento naturale è da attribuire alla particolare conformazione geologica delle Dolomiti, e dipende da molti fattori, tra cui il più importante è sicuramente la posizione del sole e le condizioni meteorologiche del momento. La tinta assunta dalle cime delle montagne varia dal rosa all’arancione, fino al viola.
Note di alpinismo
Come dicevo all’inizio di questo mio scritto, il Civetta è noto soprattutto per la sua parete nord-occidentale, la “Parete delle pareti”. Sì, così viene chiamata in ambiente alpinistico la nord-ovest del monte Civetta. Con una larghezza di oltre quattro chilometri tra la Cima Su Alto (2951 m) e la Torre Coldai (2600 m), la parete nord-ovest ha un’altezza che arriva a quasi 1200 metri, culminando a quota 3220 m.
Una montagna imponente che separa la Valle di Zoldo a est, oltre la quale svetta il Pelmo, dalla Valle del Cordevole a ovest, dove la nord-ovest si specchia nelle acque del Lago di Alleghe.
Su questa immane muraglia fu aperta quella che è ancor oggi considerata ufficialmente la prima salita di sesto grado, la via Solleder-Lettenbauer. Su questa affermazione si è discusso a lungo, e ancor oggi ci sono pareri discordi sul dove sia stato superato per la prima volta il grado VI della scala Welzenbach.
I forti alpinisti bellunesi Alessandro Masucci e l’amico Giuliano De Marchi, mio compagno d’avventura nella salita della via West Rib al Denali, scalarono in due tempi (1985 e 1987) la direttissima dei tedeschi Gabriel Haupt e Karl Lömpel alla Cima sud del Civetta, o “Piccola Civetta”. Questa via, aperta ben quindici anni prima della Solleder, è a detta dei due bellunesi più difficile della più famosa Solleder. Un lungo articolo fu pubblicato a riguardo sulla Rivista del Cai del 1988, puoi leggerlo qui.
Con un pizzico di campanilismo, mi piace far notare che questa difficile via fu ripetuta nel 1929 dalle forti guide ampezzane Angelo e Giuseppe Dimai (quelli della Comici – Dimai in Lavaredo, per intenderci), insieme a Federico Terschak e Bepi Degregorio.
Molto ci sarebbe da scrivere sulle imprese alpinistiche che ebbero luogo in passato sul monte Civetta, ma non è lo scopo di questo articolo. Farò comunque un’eccezione riportando a fine pagina un link che rimanda alla storica relazione della direttissima alla Cima della Busazza, itinerario lungo e complesso, aperto il 30 e 31 agosto 1929 da Renzo Videsott, Leo Rittler e Domenico Rudatis.
Ottimo punto d’appoggio per le salite sulla parete nord-ovest del Civetta è il rifugio Tissi, della Sezione bellunese del Cai. Paola e Valter, che gestiscono con amore il rifugio da oltre vent’anni, sono le persone giuste a cui chiedere informazioni sui sentieri e le ascensioni della zona.

Geografia fisica del gruppo del monte Civetta
Sottogruppo delle Moiazze
Prima di passare alla splendida descrizione del gruppo montuoso del Civetta, scritta da Domenio Rudatis nel lontano 1930, voglio spendere due parole sul sottogruppo delle Moiazze.
Le sue vette, rimaste un po’ in ombra rispetto alle vicine Cime sud del Civetta, vantano comunque enormi pareti sul versante ovest, che arrivano a 900 metri di altezza sul Castello delle Nevere, soggetto nel 1969 di una grandiosa frana che si staccò dalle sue pareti.
Prima di passare alla splendida descrizione del gruppo montuoso del Civetta, scritta da Domenio Rudatis nel lontano 1930, voglio spendere due parole sul sottogruppo delle Moiazze.
Le sue vette, rimaste un po’ in ombra rispetto alle vicine Cime sud del Civetta, vantano comunque enormi pareti sul versante ovest, che arrivano a 900 metri di altezza sul Castello delle Nevere, soggetto nel 1969 di una grandiosa frana che si staccò dalle sue pareti.
Sulle assolate pareti meridionali della Moiazza sono presenti numerose vie d’arrampicata, molto frequentate dagli alpinisti per l’ottima esposizione, la relativa brevità delle vie, gli avvicinamenti non troppo lunghi.
Non mancano le vie ferrate: ben nota è l’impegnativa via ferrata Costantini, che dalle immediate vicinanze del rifugio Carestiato, con mille metri di dislivello arriva in cima alla Moiazza, percorrendo la Cresta delle Masenade, per poi scendere la Val dei Cantoi. Si tratta di una delle ferrate più impegnative delle Dolomiti, ed è per questo nota come la “Super ferrata“.

Descrizione del gruppo montuoso del Civetta
(di Domenico Rudatis – pubblicato su Rivista del Cai, 9-1930, pag. 519)
Il massiccio principale della Civetta prospetta maestosamente verso l’alta Val di Zoldo la faccia orientale della sua Cresta Nord e del nodo centrale, mentre il lato d’occidente dello stesso nodo centrale costituisce la famosa parete nord-ovest del monte Civetta che domina sovrana tutta l’alta Val Cordevole.
Interessantissimo il primo di questi versanti, per la varietà delle sue architetture possenti, per il numero e la bellezza delle diverse arrampicate che presenta; celebre, il secondo, per il suo assieme di verticalità e di altezza che ha un reale primato tra le pareti delle Alpi – tra tutte le strutture alpine cui più esattamente corrisponde la qualificazione di parete –, e la cui recente arrampicata diretta dei monachesi Lettenbauer e Solleder si può considerare come l’espressione più completa di arrampicata “estremamente difficile”, nel preciso significato tecnico-sportivo, moderno e definitivo di questa designazione.
Tali due versanti tuttavia non esauriscono affatto, né per sviluppo e grandiosità di strutture, né per interesse alpinistico, non solamente il Gruppo, ma neppure il massiccio principale del monte Civetta.
La “regina delle pareti”, la “parete di tutte le pareti”, come molto appropriatamente la chiamarono i moderni arrampicatori tedeschi, si lascia ammirare dalle alture di Pieve di Livinallongo giù fino ad Alleghe. Dopo scompare completamente alla vista. Scendendo ancora lungo la Val Cordevole, ci si abbassa profondamente contornando a mezzogiorno la Civetta per chilometri e chilometri. Erti pendii selvosi, aspri dirupi, selvagge pareti incombono sempre sulla valle; è tutta una lunga catena di cime secondarie che forma come un immenso regolare basamento al massiccio principale, occultando però tutta la veduta di questo dal fondo della vallata.
A Listolade, pittoresca borgata a ventitré chilometri da Alleghe, prima di sboccare nella bella conca agordina, si schiude improvvisamente a sinistra una valle laterale, e al di là da essa si profila un impressionante altissimo appicco al cui fianco s’addossa una gigantesca torre.
È una visione inattesa fantastica fuggitiva, che, percorrendo la strada, sparisce già prima di aver potuto osservarla adeguatamente. Né, in seguito, si scorge niente altro.
Dopo sei chilometri ancora si raggiunge Agordo uscendo del tutto dal regno del monte Civetta. Chi pure conosce questo regno tanto da oriente che da occidente, cioè dai due noti versanti dell’alta Val di Zoldo e dell’alta Val Cordevole, non può riconoscere la Civetta in tale visione.
Quale particolare sviluppo del massiccio è questo? Quali vertiginosi segreti di altezze e di abissi nasconde dunque nel mezzogiorno della Civetta, quella trentina di chilometri di cime minori?
La complessità del monte Civetta
È ciò appunto che si vuoi svelare, almeno in parte, e non è semplice poiché la Civetta dal sud è una delle montagne più complesse che si possano trovare. Il massiccio principale della Civetta figura in pianta come un immenso artiglio approssimativamente orientato con le tre dita anteriori verso mezzodì e il dito posteriore a settentrione. Quest’ultimo costituisce la Cresta Nord.
Le tre dita meridionali sono:
1) quella compatta e grandiosa diramazione rivolta a sud-est, detta lo Zuiton, che culmina nella cima omonima e si congiunge a sud colla poderosa catena del Sottogruppo delle Moiazze;
2) quell’imponente e lunghissima cresta rivolta a sud-ovest, che nella sua parte terminale sbranca a mezzodì un prodigioso groviglio di pilastri, di pinnacoli, di guglie, di torri, di campanili noti appunto come i “Cantoni di Pelsa”;
3) la diramazione mediana tra le due suddette, rivolta esattamente verso sud, che è una delle più colossali strutture delle Alpi e che viene indicata come i “Cantoni della Busazza”, riferendosi in special modo alla parte che più si stacca dal nodo centrale.
A queste tre dita dell’artiglio corrispondono, quali due relativi spazi interdigitali: la Busazza e la Val dei Cantoni.
La prima, compresa tra lo Zuiton – con parte delle Moiazze –, e i Cantoni della Busazza, è una strana e vasta conca dal fondo pianeggiante pavimentato di enormi lastroni nudi e regolari, lievemente inclinati verso oriente, talvolta sovrapposti a larghi gradoni, e con poche piccole spianate erbose verdeggianti qua e là nella bianca e splendente uniformità dei banchi di dolomia.
Le montagne circostanti si levano tutte con magnifiche pareti a corona dello straordinario anfiteatro, lasciandone aperto il solo lato meridionale al cui limitare, come ad una soglia, sale una ciclopica scala di grandi caratteristici salti di roccia (detti “le Sasse”) e ripiani rivestiti di mughi, che ha inizio mille metri al disotto presso la testata della Val Corpassa. Per i tipici gradoni di questa scala, la Busazza è detta anche Van delle Sasse.
La Val dei Cantoni resta compresa tra i Cantoni di Pelsa e i Cantoni della Busazza, e il suo ingresso si apre appena sopra la testata della Val Corpassa, ad un livello quindi molto più basso della soglia del Van delle Sasse. E si apre in tal maniera da dover subito convenire, con l’illustre alpinista e pittore triestino N. Cozzi, esser questo davvero «il più imponente, il più maestoso, il più terribile ingresso di valle che ci sia».
Con un solo impeto due torri irrompono improvvise e formidabili, simmetricamente disposte, una da una parte e una dall’altra della quasi pianeggiante imboccatura della valle.
Accesso al settore meridionale del monte Civetta
La Torre Venezia con un balzo di circa cinquecento metri, inizia l’ascendente bizzarro profilo delle infinite frastagliature dei Cantoni di Pelsa; la Torre Trieste, col suo stupefacente appicco frontale di ottocento metri, sta come pilastro angolare della compattissima struttura dei Cantoni della Busazza.
La Cima della Busazza – così chiamata perché domina appunto la stessa Busazza – sovrasta la Torre Trieste di ben ancora cinquecento metri ed afferma il proprio altissimo imperio su tutto il prodigioso mondo di rupi dei Cantoni e delle Moiazze.
La Val dei Cantoni è detta anche Vallon del Giazzèr perché in alto, al di là da dove la valle sale e si strozza, mentre i profili dei Cantoni di Pelsa e dei Cantoni della Busazza sembrano congiungersi, si nasconde un circo molto elevato nel quale resta racchiuso il bel ghiacciaio dei Cantoni, noto agli alpigiani come il Giazzèr. La cima principale della Civetta non si vede, essa resta ancor più lontana e nascosta dal ghiacciaio.
L’accesso turistico più rapido e più comodo al reame meridionale della Civetta è la Val Corpassa. Interessantissima ed ugualmente agevole è la mulattiera che da Alleghe o da Zoldo Alto, passando per il rifugio Coldai e per le regioni più settentrionali del Gruppo, percorrendo tutta la Val Civetta lungo la base dell’immane parete nord-ovest e aggirando i Cantoni di Pelsa, entra nella Val dei Cantoni.
Lasciando a Listolade la grande strada della Val Cordevole, ci si inoltra subito su per la stretta e solitaria Val Corpassa fiancheggiando l’omonimo rumoroso torrente, seguendo la strada – prima carreggiabile ma ora in parte rovinata – che si snoda dapprincipio tra piccoli prati e boschi e poi tra mughi e le ghiaie bianche e pulite del letto della stessa Corpassa.
I fianchi della valle si mantengono vicini e selvaggiamente dirupati, la valle sale sempre in linea diritta con pendio moderato, sullo sfondo la Torre Trieste si erge frontalmente con una regolarità di linee e una simmetria di contorni eccezionalmente perfette ma che non risaltano ancora nella loro intera bellezza, figurando la Torre tutta aderente alle pareti titaniche della Cima della Busazza che sfuggono di scorcio in alto a sinistra. Lontana, molto a sinistra, quasi isolata domina la Torre Venezia; a destra, in su, spicca la soglia del Van delle Sasse, e più a destra ancora si delinea la grandiosa prospettiva occidentale delle Moiazze.
Poi la valle si allarga sempre più e presto si perviene alla sua testata. È una posizione d’incanto! Tutte le leggiadrie del paesaggio alpestre sono qui riunite e incoronate dalle più plastiche magnificenze della roccia.
La valle scompare aprendosi in un gran ventaglio di erte vallette minori. Tutt’intorno le montagne stanno liberando l’eccelso slancio dei loro appicchi. La Torre Trieste sembra quasi troppo ingrandita e troppo alta per sopportare di venire osservata, le Moiazze si impongono di sorpresa con un muraglione colossale, i Cantoni di Pelsa si moltiplicano, la Cima della Busazza appare sempre di scorcio, paurosa e incomprensibile.
L’ottima mulattiera sale a risvolte un lungo e ripido pendio di mughi (la Mussaia), verso la base della Torre Trieste, quindi passa a sinistra e raggiunge un verde ripiano erboso – il Pian delle Taie -, proprio all’entrata della Val dei Cantoni.
Il versante occidentale della Cima della Busazza ora comincia a rivelare veramente la sua formidabile potenza.
Il rifugio Vazzoler e la Val Civetta
Nel rado bosco, la strada continua a salire dolcemente tagliando di traverso tutta la Val dei Cantoni, lungo l’imboccatura, senza penetrarvi, per passare subito sotto la Torre Venezia e proseguire oltre verso la Val Civetta.
Poco prima di arrivare nelle immediate vicinanze della Torre Venezia, a sinistra e in prossimità della strada, su una spianata del boscoso Col Negro di Pelsa, prospiciente la valle, s’incontra il rifugio Vazzoler (sorto nel 1929), che apre finalmente al movimento alpinistico tutti gli incanti ed i segreti meridionali della Civetta. Ed è un rifugio proprio ideale, perché abbastanza comodo da soddisfare tutti i bisogni che l’indolenza moderna può trascinare in montagna, abbastanza semplice da non ricordare le complicazioni della vita cittadina, e costruito e arredato in modo da accordarsi felicemente con l’ambiente naturale.
La vista della Cima della Busazza dal rifugio, sebbene ancora incompleta, è di una grandiosità e di una severità inesprimibili.
Dal fondo appena inclinato della Val dei Cantoni s’innalza una sterminata muraglia che si prospetta come la facciata di un immenso castello.
L’appicco frontale della Torre Trieste, innestata alla parete quasi come un pilastro, profila l’angolo destro di questa facciata e s’abbassa ulteriormente all’infuori della valle; la Torre, che si può considerare come la più alta delle Alpi, non è più che un elemento di tale costruzione, e la sua cima una piccola vedetta distaccata.
La vista della Cima della Busazza dal rifugio, sebbene ancora incompleta, è di una grandiosità e di una severità inesprimibili.
Dal fondo appena inclinato della Val dei Cantoni s’innalza una sterminata muraglia che si prospetta come la facciata di un immenso castello. L’appicco frontale della Torre Trieste, innestata alla parete quasi come un pilastro, profila l’angolo destro di questa facciata e s’abbassa ulteriormente all’infuori della valle; la Torre, che si può considerare come la più alta delle Alpi, non è più che un elemento di tale costruzione, e la sua cima una piccola vedetta distaccata.
Il fastigio della parete balza subito alto sopra la Torre e dalla destra sale verso sinistra, su, con una trionfale ascesa a merlature e rampe titaniche, sempre su fino allo spigolo sinistro in cui questa facciata, rivolta a sud-ovest, s’incontra con l’altra, rivolta a ovest, che dal rifugio s’intravvede tutta di scorcio. La riunione delle due pareti forma uno spigolo un po’ più aperto di un angolo retto.
Nella sommità dello spigolo culmina la Cima della Busazza e questo piomba interminabilmente giù dritto nella valle.
Per poter veder bene ambedue le pareti e la dirittura dello spigolo, bisogna però avanzare alquanto su per la Val dei Cantoni, sotto il muro strapiombante del Bancon o meglio salire sulla sovrastante terrazza (detta appunto il Bancon), oppure sul piccolo Gnomo di Babele che fiancheggia umilmente a sud l’omonima Torre. Chi poi volesse godere i migliori punti di vista possibili, dovrebbe raggiungere la stessa Torre di Babele o la Cima del Bancon che, fronteggiando lo spigolo a metà altezza, prospettano nel mondo più evidente la fantastica fuga verso l’alto e verso il basso delle pareti.
Oltre lo spigolo, la valle sale ripidamente e quindi anche la base della facciata ovest, il cui fastigio invece, presso la vetta rimane per un tratto orizzontale, e poi s’incurva alquanto discendendo «infine ad un intaglio in corrispondenza del quale resta delimitata questa parete. Essa risulta molto più stretta dell’altra, ma quasi la supera nella violenza della verticalità; la sua parte superiore è pressoché tutta uno spaventevole strapiombo, per un’altezza di più centinaia di metri. Ambedue le pareti, come lo spigolo, superano il chilometro d’altezza».
Dopo, a settentrione, la muraglia rientra, sporge e si rompe variamente, allontanandosi, mentre la sua cresta risale verso la Piccola Civetta, come un ciclopico bastione il quale congiunga il prodigioso castello ad una altra lontana costruzione.
Niente di più sgominante, di più fantastico, di più affascinante di questo complesso di verticalità immani che quasi non trova confronti; di questo castello che ha la severità di una fortezza e la sovranità di una reggia, e attorno al quale le superbe torri dei Cantoni di Pelsa diventano appena le merlature di una sua muraglia di cinta, mentre i più celebri pinnacoli delle Alpi potrebbero allinearsi ai suoi piedi come una balaustrata; di questa struttura, in cui la simmetria delle linee e l’euritmia dei contrasti trovano l’accordo più armonico e più possente della sublime architettura delle altezze.
Monte Civetta, un gigante non solo dolomitico
Se si dà un preciso sguardo a tutta la regione dolomitica, si constata infatti che la verticalità e l’altezza sono riunite in più elevata misura: nella cima principale della Civetta dalla Val Civetta, nella Cima della Busazza dalla Val dei Cantoni, nel Croz dell’Altissimo dalla Val delle Seghe. Queste tre strutture, nelle quali sono maggiormente esaltate le caratteristiche essenziali dell’architettura delle Dolomiti, costituiscono quindi le più complete e poderose espressioni dell’intero mondo dolomitico.
Facendo qualche confronto specifico tra queste e le altre più notevoli strutture delle Dolomiti, si può osservare che tanto le pareti nord del Pelmo, della Cima Una e della Furchetta, che quella nord-est del Crozzon di Brenta sono tutte inferiori d’altezza. La classica parete sud della Marmolada presenta doppiamente al paragone una fortissima inferiorità. L’appicco settentrionale della Cima Grande di Lavaredo, e così anche altri, è di proporzioni troppo limitate per sostenere, nonostante la sua stupenda verticalità, un raffronto. Il Sass Maor dall’est e il Sass Long dal nord sono certo grandiosi, ma questo non ha la verticalità e quello non ha uno sviluppo costruttivo che raggiunga la triade predetta.
Estendendosi alle Alpi Orientali in generale, si può ancora riconoscere che la parete nord, del Tricorno, come parete, non è né altrettanto alta, né altrettanto verticale.
Il Watzman e l’Hochstadl presentano versanti altissimi ai quali però manca la verticalità, e non aventi, a rigore, nemmeno una vera e propria conformazione di parete. L’Hochwanner dal nord, come effettiva parete, non è così alta.
E, pure le magnifiche pareti Laliderer sono alquanto meno alte.
Estendendosi alle Alpi Orientali in generale, si può ancora riconoscere che la parete nord, del Tricorno, come parete, non è né altrettanto alta, né altrettanto verticale. Il Watzman e l’Hochstadl presentano versanti altissimi ai quali però manca la verticalità, e non aventi, a rigore, nemmeno una vera e propria conformazione di parete. L’Hochwanner dal nord, come effettiva parete, non è così alta. E, pure le magnifiche pareti Laliderer sono alquanto meno alte.
Se, pertanto, le più colossali strutture delle Alpi Orientali, pur equivalendo in grandiosità, non assommano parimenti l’altezza e la verticalità, la triade dei titani delle Dolomiti possiede una superiorità che va assai oltre le Dolomiti stesse, e verosimilmente – poiché è facile allargare i riscontri nei precisi riguardi della verticalità e della altezza – anche oltre tutte le Alpi Orientali.
Il progredire dell’esperienza e l’esatta conoscenza dell’evoluzione storica e tecnica dell’arrampicamento moderno internazionale, mi portarono gradualmente a stabilire, con determinatezza, il problema della Cima della Busazza dalla Val dei Cantoni. Ma quale problema!
Lo spigolo sud-ovest della Cima della Busazza
(di Domenico Rudatis – pubblicato su Rivista del Cai, 9-1930, pag. 519)
Studiando l’appicco dai diversi punti di vista offerti dai Cantoni di Pelsa, mi convinsi che il lato sud-ovest offriva con molta probabilità una via di scalata, che raggiungeva però la cresta a notevole distanza dalla vetta.
L’anno scorso – 1928 – dopo la conquista del Pan di Zucchero, presentai alla sorpresa del mio compagno di corda, Renzo Videsott, l’imponente problema, ed assieme lo riesaminammo in occasione della nostra bellissima arrampicata sulla Torre di Babele.
Io avevo fatto all’amico capocordata questa proposta col sentimento di dargli quanto di meglio la mia conoscenza e la mia preferenza alpina possedevano, ed egli colse nell’offerta mirabile tutta la purità del proprio valore, e la grandezza dell’impresa affascinò intensamente l’avvenire che ci si apriva innanzi.
Leggi la relazione completa della salita su “Le grandi sorie” – Link a Sherpa-Gate
