Un giorno sul Campanile di Val Montanaia
Una STORIA VERA di Donato Perti – Accadde il 16 luglio 2012
Mia moglie Liz ed io arrampichiamo con Enrico dal 1999, quando ci incontrammo la prima volta e lui ci portò alle Cinque Torri per valutare le nostre capacità su quattro delle torri, scalando vie dal IV- al IV+. Ci troviamo a nostro agio sul IV+… cose più facili non ci impegnano abbastanza, cose più difficili possono diventare delle imprese epiche, anche perché ormai negli Stati Uniti non arrampichiamo più.
L’unica area di arrampicata decente sulla costa orientale vicino a dove viviamo noi sono i Gunks, che comunque distano oltre 250 chilometri.
Altre zone più vicine alla nostra casa in Pennsylvania, come il Delaware Water Gap, sono semplicemente troppo “sporche” e ricoperte da vegetazione.
Arrampichiamo soltanto una volta all’anno durante i nostri viaggi sulle Dolomiti, se il tempo collabora facciamo un paio di salite con Enrico, un paio di vie ferrate per conto nostro e numerose lunghe escursioni.Ho il sospetto che Enrico ci abbia sempre sopravvalutati, fatto sta che in poco tempo abbiamo salito alcune vie impegnative (per noi) sul Col dei Bos, sul Terzo Spigolo della Tofana di Rozes, sul Campanile Dülfer e molte altre, tutte valutate dal V al V+.
Mia moglie è estremamente sensibile all’edera velenosa, una pianta che non ho mai visto in Italia, ma sfortunatamente e’ diffusa in America come le ortiche sono in Italia. Lei non può arrampicare nelle vicinanze di questa pianta.
Abbiamo fiducia in Enrico, anche perchè ha sempre saputo scegliere percorsi impegnativi per noi, senza pero’ lasciarci a piagnucolare nel bel mezzo di una parete.
La prima parte del mese di luglio 2012 il tempo è stato particolarmente brutto, anche volendo considerare la variabilità meteorologica che caratterizza il clima dolomitico.
Ha piovuto quasi ogni giorno e, anche se non ha influenzato molto le nostre escursioni su sentieri e vie ferrate, non è stato possibile fare un programma dettagliato di eventuali salite con Enrico.
Verso la metà di luglio però, mentre ci stavamo avvicinando alla fine del nostro soggiorno di due settimane a Cortina, le previsioni del tempo ci hanno dato un barlume di speranza e così abbiamo subito programmato una salita con Enrico: andremo a scalare l’iconico Campanile di Val Montanaia nelle Alpi friulane. Questo comporta recarsi in auto al Rifugio Pordenone la sera prima e svegliarsi il mattino seguente di buon’ora: servono infatti un paio d’ore per superare gli 800 metri di dislivello dal rifugio all’attacco della via normale del Campanile Val Montanaia, la via Glanvell-Saar.
Enrico c’era stato anche l’anno scorso, ma ha dovuto tornare indietro dalla base del Campanile a causa del maltempo.
Molto è stato detto circa la prima salita del 17 settembre 1902, e come i due austriaci Glanvell e Saar abbiano “rubato” la prima a due alpinisti provenienti da Trieste, Cozzi e Zanutti. Infatti i due italiani solo dieci giorni prima avevano superato il punto cruciale della salita, la famosa fessura Cozzi, ma non avevano intuito il percorso successivo per la vetta.
I due austriaci, in parte agevolati dal tentativo dei due triestini, superarono la fessura Cozzi e al suo termine si avventurarono in una audace attraversata verso sinistra, per proseguire infine lungo un camino che oggi prende il loro nome (camino Glanvell-Saar) e con pochi altri facili tiri arrivarono in cima.
Dopo aver salito io stesso questa via, tanto di cappello va ai due austriaci per avere avuto il coraggio di intraprendere una attraversata davvero molto esposta e proseguire per il difficile camino: ancora oggi é un’impresa degna di rispetto.
Cortina si trova a circa due ore di macchina dal Rifugio Pordenone. Si scende dapprima lungo la Valle del Piave e arrivati a Longarone si svolta in direzione della tristemente nota diga del Vajont, si supera il paese di Erto, si prosegue fino a Cimolais dove si imbocca la Val Cimolaia e, infine, si parcheggia a dieci minuti dal rifugio.
Siamo partiti da Cortina verso le 17:00 con un tempo instabile e piovigginoso.
Viste le condizioni meteorologiche, non avevo molta fiducia nel fatto che avremmo potuto fare la scalata, ma comunque valeva sicuramente la pena anche solo fare una bella escursione fino al mitico campanile di Val Montanaia, e soggiornare in un rifugio è sempre un’avventura.
Una volta a Cimolais, ci siamo diretti a nord lungo la Valle Cimolaia che in circa 13 chilometri porta al rifugio. La strada inizia come una stretta strada asfaltata, per trasformarsi poi in una strada sterrata che attraversa numerosi corsi d’acqua. Fu chiaro sin da subito che le forti piogge degli ultimi giorni avevano preteso un pesante tributo alla carrabile.
Ogni volta che attraversavamo una pozza, i solchi nel terreno sommerso dall’acqua divenivano via via più profondi. Enrico guidava deciso ma infine un guado di quaranta/cinquanta metri di larghezza ci bloccò. L’acqua scorreva lungo il ghiaione (ormai di questo si trattava, non più di una strada) e in questa brutta situazione le ruote non riuscivano a produrre una trazione sufficiente sulla ghiaia mista ad acqua.
Decidemmo perciò di costruire un “ponte” di pietre per aiutare Enrico di attraversare qual punto critico… Cercammo pietre piatte e grandi per costruire un ponte di una decina di metri di lunghezza. Molto probabilmente avevamo una unica possibilità di riuscire a passare, una sola cartuccia a nostra disposizione, e speravamo che questo sarebbe stato l’ultimo ostacolo. Enrico lanciò la piccola macchina e ce la fece, per un pelo, mentre da dietro Liz ed io spingevamo. Un paio di chilometri oltre incontrammo un altro ostacolo, e questa volta la corrente era troppo forte per tentare il guado, così decidemmo di proseguire a piedi
Erano le 18:45 e mancavano all’incirca quattro chilometri per arrivare al Rifugio Pordenone. Dopo aver parcheggiato l’auto sul ciglio della strada, caricammo tutto il materiale d’arrampicata (corde, imbracature, caschi, moschettoni, ecc.) negli zaini e ci avviammo verso il rifugio. Speravamo che la cucina del rifugio fosse ancora aperta e non fosse troppo tardi per poter cenare. Un’ora più tardi, sudati e affamati arrivammo al rifugio Pordenone.
Il gestore ci servì dei piatti molto pesanti, polenta ed altre pietanze che comunque erano molto buone, ma ci disse anche di aver dato via le nostre camere in quanto non ci eravamo presentati prima, che siano dannate le prenotazioni!
Fortunatamente c’era ancora una stanza libera, che poteva ospitare tre persone. Dopo il viaggio in auto e la lunga camminata dalla macchina al rifugio, fummo ben lieti di prendere la camera, anche se diversa da quanto avevamo prenotato.
Due birre più tardi, sazi e stanchi, ci infilammo nel letto cadendo in un sonno profondo.
La sera prima avevamo incontrato un gruppo di cinque alpinisti triestini, al rifugio. Ho vissuto a Trieste per un certo periodo ed è stato bello essere in grado di parlare di nuovo il dialetto triestino.
La mattina della salita ci svegliammo presto sperando di battere i triestini alla partenza. Dopo una colazione frettolosa, alle 07:00 eravamo in cammino, ma la maggior parte degli alpinisti era già partita prima di noi … l’unico gruppo che ci seguiva era formato da tre alpinisti di Udine che avevano raggiunto il rifugio con un fuoristrada la mattina stessa.
Durante la notte era arrivato un fronte d’aria fredda e al mattino l’aria era limpida, fredda e luminosa.
Nonostante questo la pendenza del sentiero e l’abituale ritmo di Enrico ci fecero sudare.
Dopo un’ora di cammino ecco apparire la sommità dell’ipnotico Campanile. Si vedeva soltanto il terzo superiore emergere dai mughi, ma questa vista era sufficiente ad esercitare su di noi un fascino quasi ipnotico.
Liz e io non potevamo staccare gli occhi dal monolite. Io stavo sudando copiosamente e non mi sentivo particolarmente bene. Chiesi a Liz come si sentiva, ma lei mi ha disse che stava bene, sentiva solo un po’ freddo.
Dal momento in cui arrivammo all’attacco, una forte sensazione di nausea si impadronì di me. Volevo dire qualcosa a Enrico, ma il pensiero di rinunciare alla salita dopo tanta fatica non era molto allettante e così tenni segreto il mio disagio.
La prima parte della scalata è facile, probabilmente un III+, e la superammo in fretta.
Appena Enrico scomparve dalla nostra vista, sul secondo tiro, cominciai a provare ondate di nausea e forti dolori allo stomaco.
Deve essere colpa di quella dannata polenta grossolana, pensai. Fui davvero felice quando potei lasciare la sosta ed iniziare ad arrampicare nuovamente, ma durante i successivi due tiri, mi sentii sempre peggio…
Il quarto tiro consiste in una facile rampa inclinata che porta alla fessura Cozzi, il passaggio chiave della salita. Ora però il mio malessere si fa sentire in tutta la sua forza. Mi sento svenire, non perdo conoscenza ma non vedo nulla, buio ad occhi aperti.
Sarebbe stato meglio rinunciare alla salita e tornare indietro quando eravamo ancora in tempo per farlo con facilità. All’improvviso inizio a vomitare tutta la polenta grossolana e anche ciò che avevo mangiato la mattina a colazione…
Continuo per diversi minuti fino a quando non ho niente altro nello stomaco.
Stranamente, mi sento subito meglio. Bevo un po’ d’acqua per sciacquare la bocca e dopo aver scambiato alcune parole con Liz inizio l’arrampicata. Mentre arrampico penso che se mi dovessi sentire nuovamente male potrò comunque ridiscendere. Ma fortunatamente mentre salgo mi sento via via più forte, e così raggiungo Enrico senza difficoltà. Ora mi sento quasi normale, soltanto un po’ debole.
La fessura Cozzi non è terribilmente difficile, ma è incredibilmente unta e scivolosa, e qualunque sia stato il suo grado in origine oggi è sicuramente un buon V. Per superare la parte strapiombante ci vuole una certa prestanza fisica e un buon lavoro di piedi, per non parlare dello sforzo di braccia. Mi serve un piccolo aiuto da Enrico per superare il passaggio chiave. Più tardi Enrico dirà che era come tirare su un toro…
Il resto della salita è stato più semplice. Dopo aver arrampicato lungo l’esposta attraversata e superato il camino Glanvell-Saar abbiamo incontrato i triestini che stavano terminando la loro seconda corda doppia.
Con facilità siamo saliti lungo gli ultimi due tiri facili ed arrivati in vetta abbiamo suonato la mitica campana che da anni contraddistingue questo incredibile torrione. La campana fu portata in cima il 19 settembre 1926 da 22 alpinisti veneti, e reca inciso il motto Audentis resonant per me loca muta triumpho.
Durante tutto questo tempo abbiamo potuto godere della piacevole compagnia dei tre simpatici alpinisti di Udine.
Infine abbiamo iniziato le calate in corda doppia, compresi naturalmente i 37 metri strapiombanti della celebre calata di Piaz sulla parete nord.
Tornati al rifugio, un’amara sorpresa ci aspetta… Ecco che i ragazzi di Udine offrono ad Enrico un passaggio sul loro fuoristrada, ma purtroppo non c’é posto anche per noi due che, incurvati dal peso degli zaini, ci incamminammo lungo la Val Cimoliana.
Ci aspettavamo il peggio, ma un chilometro più avanti vediamo con piacere la macchina di Enrico dirigersi verso di noi.
Qualcuno aveva sistemato la strada con un escavatore ed era di nuovo perfettamente transitabile. Sulla via del ritorno verso Cortina ci siamo fermati per una pizza a San Vito di Cadore. Ero davvero affamato e mai una pizza mi è sembrata così buona.
Per tutto il giorno l’incoraggiamento della mia bella moglie non è mai mancato, come sempre succede con lei.
Nel luglio 2013, dopo aver compiuto settant’anni, ho avuto insieme a Liz un’altra avventura con Enrico sul un’anticima della Croda del Rifugio, nel gruppo delle Tre Cime di Lavaredo, ma questa è un’altra storia …
