Un’avventura con Tony Scott

Una STORIA VERA di Enrico Maioni – Accadde il 2 luglio 2008

Dedico questa pagina all’amico regista e alpinista Tony Scott.
Tony non c’è più, è andato oltre.
Non sono ancora state chiarite le ragioni del suo gesto, ma pare che fosse gravemente ammalato.

Colpito da un male incurabile ha preferito farla finita piuttosto che sottoporsi ad inutili terapie: una scelta forte e decisa, com’era il suo carattere, una scelta forse discutibile, ma non sta a noi giudicare.

Non ho frequentato Tony per lunghi periodi, ma l’ho conosciuto bene, come accade quando due persone si legano alla stessa corda: questa è una verità che gli alpinisti conoscono bene.

In parete, specie in situazioni difficili, pregi e difetti di ognuno vengono a galla, non si possono nascondere.

Di Tony Scott ho visto e mi piace ricordare i suoi pregi: un uomo vero, tenace, buono e generoso. Un uomo ricco sì, con un cuore ricco, e di una semplicità a volte disarmante. Mi dispiace tanto che Tony non c’è più. Buon viaggio grande Tony Scott.

Premessa

Giugno 2008: un’ email inaspettata mi informa dell’arrivo di Tony. “Che bello!”, penso. Oltre ad essere un ottimo cliente, Tony Scott è soprattutto un amico e una persona fuori dal comune; nato il 21 giugno del 1944 Stockton on Tees, nella campagna del nord dell’Inghilterra, frequenta il West Hartlepool College of Art e la Sunderland Art School. Negli anni ’80 Tony dà avvio alla sua carriera di regista cinematografico. Il successo arriva con il film intitolato Top Gun, al quale ne seguono molti altri (Beverly Hills Cop – Revenge – True romance – Allarme rosso – Nemico pubblico – Spy Game – Domino – Déjà vu). Il suo ultimo lavoro (ad oggi, agosto 2008 n.d.r.) uscirà nel 2009: The Taking of Pelham 1 2 3.

Nonostante la sua privilegiata posizione nella scala sociale, in un’epoca in cui l’apparenza sembra valere più di ogni altra cosa, Tony si comporta sempre come una persona semplice, senza mai mettersi in mostra.

Ma Tony è anche un vero alpinista, che in gioventù ha scalato con amici varie cime delle Alpi e delle Dolomiti, salendo vie che tutt’ora restano impegnative.
Il mio primo incontro con lui risale al 1987, e nel corso degli anni abbiamo salito insieme numerose vie, alcune impegnative, come ad esempio lo Spigolo Giallo in Tre Cime, la Lacedelli alla Cima Scotoni, la Costantini-Apollonio e la Leviti sul Pilastro della Tofana di Rozes.

Questa volta Tony verrà a Cortina con la famiglia: la moglie Donna, i gemelli di 8 anni Max e Frank, e la baby-sitter Lucy; e tutti vogliono arrampicare! Ovviamente servono più Guide, così chiedo agli amici e colleghi Davide (Alberti) e Paolo (Da Pozzo) di darmi una mano. Accettano volentieri.

La famiglia Scott arriva il 20 giugno, e già il giorno seguente siamo già alle 5 Torri, luogo ideale per ricominciare ad arrampicare dopo il lungo periodo di inattività di Tony e per vedere come se la cava il resto della compagnia.

Nei giorni seguenti Paolo e Davide saranno le guide di Donna, Lucy e bambini mentre io mi legherò con Tony: ogni giorno qualcosa di più impegnativo, passando dal Campanile Dülfer nei Cadini di Misurina alla via Cassin sulla Cima Piccolissima di Lavaredo, per poter coronare la fine delle sue vacanze con una via classica e difficile.

Tony è bravo, si vede che è “del mestiere”, ma il fatto di scalare solo saltuariamente ed i suoi 64 anni sono elementi che non possono non influire sulle sue performance.

Il team

Quarant’ anni fa ha scalato con un amico la famosissima via Comici – Dimai sulla parete nord della Cima Grande di Lavaredo, e vorrebbe ripeterla nuovamente. Io sono un po’ restio, mi sembra troppo difficile per il suo stato di forma attuale, ed infine decidiamo che verrà con noi anche Paolo: se Tony dovesse trovarsi in difficoltà, su una via come questa due Guide garantiscono una maggior sicurezza.

Decidiamo anche che, se necessario, l’elicottero verrà a prenderci in cima in quanto se pur facile la via di discesa è lunga, e può essere lunghissima e faticosa se affrontata da una persona provata dalle fatiche della salita. Avvisiamo perciò il pilota di tenersi pronto, e noi ci diamo appuntamento per la mattina seguente, alle cinque in punto!

L’avventura con Tony Scott – 02 luglio 2008

Ore 5,00. Le prime luci dell’alba rischiarano il cielo sereno, non c’è una nuvola e l’aria è secca e pulita. Ancora assonnati, ci avviamo in auto verso il Rifugio Lavaredo.

Da qui ci incamminiamo verso la forcella omonima, che si raggiunge in 15 minuti ed offre una spettacolare veduta sulle pareti nord delle Tre Cime.

Un altro quarto d’ora di cammino ci porta infine al punto d’attacco della nostra via; un avvicinamento molto comodo se paragonato a tanti altri nelle Dolomiti.

La parete Nord

Mentre ci prepariamo per la scalata, arrivano tre ragazzi spagnoli, anche loro lì per salire lungo la nostra stessa via. Uno di loro mi chiede gentilmente se possono partire per primi, ed altrettanto gentilmente io gli rispondo di no.

Tutti gli scalatori sanno come non sia piacevole avere qualcuno sopra la testa mentre si arrampica, inoltre Paolo ed io conosciamo bene la via e riteniamo di essere più veloci di loro. Finita questa breve conversazione, Paolo comincia a salire. Il giorno prima avevamo infatti deciso che sarà lui il primo di cordata, mentre io salirò insieme a Tony, standogli vicino per meglio aiutarlo nel caso ne avesse bisogno.

Le prime due lunghezze di corda di questa via sono facili, ottima cosa per sciogliere e riscaldare un po’ i muscoli prima delle vere difficoltà. In poco tempo raggiungiamo un comodo terrazzino sovrastato dalla imponente parete nord della Cima Grande, e da qui ci accorgiamo che alla base della parete è arrivata un’altra cordata: ieri Davide ci aveva detto che forse sarebbe venuto anche lui sulla “Nord”, con il suo cliente Galileo, ed infatti eccoli lì, tutti intenti a prepararsi per la via.

Li salutiamo dall’alto, e Paolo inizia a salire.
La parete può essere idealmente divisa in due sezioni: la prima metà della Comici – Dimai è molto difficile, su parete spesso strapiombante che richiede un’arrampicata atletica ed una buona tecnica. La seconda sezione è nettamente più facile (ma pur sempre di 5°grado), e la via segue una serie di fessure e colatoi per finire su una cengia che circonda interamente la cuspide della Cima Grande.
Mentre assicuro Paolo anche gli spagnoli e Davide arrivano sul terrazzino. Sembrano abbastanza bravi e sono simpatici, così ci scambiamo qualche battuta scherzosa.

Ora tocca a noi: parte prima Tony, io lo seguo a poca distanza.
Questo primo tiro difficile si rivela veramente tale per il mio amico; fatica un bel po’, e quando arriviamo alla sosta ha le braccia già stanche e comincia a dubitare di riuscire nell’impresa.
Ne parliamo e decidiamo di proseguire per un altro paio di tiri, perché anche più su c’è ancora la possibilità di ritirarsi senza problemi.

Paolo riparte, arrampica sicuro e veloce. E’ figlio d’arte, suo padre Luciano, nato nel 1939, è stato un fortissimo arrampicatore, ma il destino ha voluto che scomparisse prematuramente nel 1996, quando ancora scalava sul 7a, cosa notevole in quegli anni per un uomo della sua età.

Esposizione

Poi tocca nuovamente a noi, ma ora decido di stare davanti a Tony in modo da poterlo meglio aiutare piazzando alcuni lunghi cordini nei punti più critici. Anche lui apprezza questa scelta, che infatti si rivela vincente.

Proseguiamo per altri due tiri, Tony si è ripreso e se la cava bene. Paolo per aiutarlo tira sempre molto la corda, e questo lo stanca di più che non l’arrampicare, comincia ad accusare dei lievi crampi alle braccia… Dopo un altro tiro gli propongo il cambio: posso salire io da capocordata, ho le braccia ancora fresche e mi sento bene. Ma lui non accetta, mi dice: “Andiamo ancora un po’, un paio di tiri e poi vediamo”… E così continuiamo a salire.

Stiamo andando bene.

Abbiamo distanziato gli spagnoli, Tony continua a fare un sacco di fotografie ed è molto soddisfatto di come procede la salita, e manca solo una lunghezza di corda per arrivare al termine delle difficoltà, sulla cengia dove bivaccarono i primi salitori.

Propongo nuovamente il cambio a Paolo, ma anche stavolta non accetta dicendomi di essersi un po’ ripreso. E così poco prima di mezzogiorno arriviamo all’inizio della zona “facile”.

Negli ultimi dieci giorni abbiamo sempre arrampicato, ogni giorno con tempo bello e stabile. Anche per oggi le previsioni meteo locali non segnalano cambiamenti di rilievo, però il cielo si è improvvisamente scurito e questo non ci piace affatto.

Evitiamo perciò di fare la consueta pausa ristoratrice, e mentre Paolo inizia nuovamente a salire io e Tony mangiamo in fretta una “barretta” e beviamo abbondantemente.

Tony Scott sulla Grande di Lavaredo

Quando ripartiamo, alcune gocce iniziano a cadere ed in lontananza sentiamo i primi tuoni. Cerchiamo di sbrigarci ma, per quanto bravo sia, Tony ha già dato molto e non è in grado di andare più veloce.

Nel cuore del temporale

Ci fermiamo un attimo per indossare la giacca a vento, le prime gocce si sono già trasformate in una pioggia continua e inopportuna.
Raggiungiamo Paolo, che riparte in tutta fretta. Stiamo salendo lungo una serie di fessure e colatoi, il posto peggiore quando piove: l’acqua infatti si incanala lungo queste profonde rughe della parete, trasportando con sé pietre e detriti; inoltre tutti gli alpinisti sanno quanto queste linee siano i principali punti di scarico della corrente elettrica che scaturisce dai fulmini quando colpiscono le montagne.

Siamo preoccupati!

Ora la pioggia è mista a grandine, che comincia ad imbiancare la parete, ed i fulmini sono più frequenti. Siamo già in alto, abbiamo superato più di due terzi della parete e ritirarsi a questo punto non è più conveniente.

Non manca più molto alla termine della via, e poi questi temporali violenti passano in fretta, pensiamo. Inoltre, una discesa in queste condizioni sarebbe comunque rischiosa e difficile.

Sotto la pioggia con Tony Scott

Mentre saliamo, una scossa elettrica colpisce Paolo che ci sta assicurando: non è una scarica violenta, ma quanto basta per togliere le mani dalle corde.

Il pericolo maggiore è infatti proprio questo: abbandonare la presa mentre si arrampica da primo di cordata può essere fatale su queste difficoltà. Infatti su difficoltà maggiori i chiodi di protezione sono numerosi, e un’eventuale caduta si risolve in un volo di pochi metri nel vuoto. Qui invece siamo sul 5° grado, ed i chiodi sono pochi: si rischiano voli di 30-35 metri su una parete molto articolata, dove cadendo si sbatterebbe violentemente su sporgenze e spuntoni.

Poi è il mio turno, anch’ io vengo colpito da una scarica di corrente: non è forte, non più di quelle che molti di noi hanno avuto modo di sentire in occasione di qualche piccolo incidente domestico, ma questo comunque non mi tranquillizza affatto. Vorrei arrampicare più in fretta, ma devo stare vicino a Tony che per fortuna non dimostra alcuna paura e rimane sempre molto calmo.

Raggiungiamo Paolo in una specie di grotta formata dall’allargamento della fessura lungo la quale stiamo salendo. Quest’anfratto offre un minimo riparo, ma purtroppo anche le grotte sono da evitare durante i temporali, per cui cerchiamo di allontanarci da qui in fretta e furia. Paolo riparte, è veramente bravo a salire in queste condizioni.
Non gli chiedo più se vuole il cambio.

All’uscita dalla grotta segue un lungo traverso, ma piove così forte che non si riesce a vedere, e pur conoscendo bene la via Paolo sbaglia strada. Sale, scende, risale e dopo un po’ trova dei chiodi e si ferma per assicurare me e Tony, che subito partiamo. Un mare d’acqua inonda la parete e non vedo l’ora di concludere questa salita.

Raggiunto Paolo sul piccolo terrazzino, mi volto e vedo Tony in difficoltà: “Non cadere, non qui sul traverso” – penso.
Ma Tony non ce la fa più, scivola sugli appigli coperti di grandine e lascia la presa. Il “friend” (uno strumento che ha la stessa funzione del chiodo da roccia) incastrato nella fessura non regge, e così con un notevole “pendolo” Tony si ritrova sotto di noi. Fortunatamente non si fa male, ed in qualche modo riesce a risalire e a raggiungerci sul terrazzino.
Ora grandina spaventosamente!

È impossibile proseguire, dobbiamo fermarci. Siamo bagnati fradici fino alle mutande e fa un gran freddo, la temperatura è crollata ed un tremito continuo e incontrollabile scuote vistosamente i nostri corpi. Nessuno parla, siamo presi dai nostri pensieri. Guardo in basso, cerco di individuare gli spagnoli e Davide, ma lo strapiombo sottostante li nasconde alla nostra vista. Sicuramente stanno scendendo sarebbe da pazzi continuare a salire da laggiù.
Mentre aspettiamo in silenzio, all’improvviso udiamo un gran boato, un’accecante luce rossa illumina la parete che sembra bruciare, e massi e detriti rimbalzano tutt’intorno a noi.

Tony è sempre calmo, trova addirittura la voglia di fare alcune fotografie. Per noi guide è una vera fortuna questo suo gran carattere, se ci fossimo trovati con un cliente in preda al panico la situazione avrebbe potuto avere risvolti ben diversi.

Sostiamo impotenti sull’ angusto terrazzino da più mezz’ora, ma ci sembra di essere lì da due ore. Paolo ed io ci guardiamo, sappiamo che dobbiamo ripartire perché stiamo rischiando l’ipotermia. Il maltempo si calma un po’, ora piove soltanto.
Come ho già detto, nel salire Paolo ha sbagliato strada ed ora ci troviamo troppo in alto rispetto alla giusta via.

Grandine

Per fortuna conosciamo la parete, e sappiamo che pochi metri più in basso, sulla sinistra, ci sono i chiodi della giusta via: così lo calo, poi lui attraversa e raggiunge la sosta.  Calo anche Tony, ed in breve è da Paolo. Poi tocca a me, ma nessuno può calarmi e scendere arrampicando è difficile e pericoloso in queste condizioni, devo pensare bene alla  tecnica da adottare e concentrarmi per non fare errori.

Mentre preparo le corde osservo le mie mani e noto la pelle  raggrinzita, come succede quando si sta nell’acqua per troppo tempo. Raggiungo gli altri, Paolo riparte ed in breve tocca nuovamente a noi. Da sopra la voce di Paolo ci dice di salire, deve essere l’ultima sosta penso, e riparto più sollevato.

I piedi sembrano due pezzi di legno, non hanno alcuna sensibilità e devo cercare gli appoggi più grandi per potermi fidare delle scarpette d’arrampicata.
Tony rimane un po’ indietro, mi fermo ad aspettarlo e poco dopo siamo nuovamente tutti e tre riuniti. Paolo riprende l’arrampicata. Mancano circa venti metri alla fine, non vedo l’ora di arrivare in cima, ma Paolo ci mette più del previsto: l’uscita sulla cengia ghiaiosa, inclinata e piena di grandine lo mette nuovamente alla prova, anche l’ultimo metro di parete oggi ci ha fatto penare.

Il ritorno

Finalmente! Abbiamo terminato la via ed ha smesso di piovere, ora dobbiamo solamente passare sul versante sud camminando lungo la cengia e chiamare l’elicottero. Ci sediamo un momento, dobbiamo cambiarci le scarpe. Aperto lo zaino, con disappunto scopriamo che non c’è assolutamente niente di asciutto. Dobbiamo svuotare le scarpe come si farebbe con un bicchiere pieno d’acqua.

Pazienza, l’importante è essere in cima, stanchi ma vivi. Vorremmo incamminarci ma in realtà anche la cengia, che in condizioni normali si può percorrere agevolmente senza corda, oggi si rivela scivolosa ed impegnativa a causa del suo aspetto invernale, che ci costringe a procedere in cordata. Più di mezz’ora per un tratto che normalmente si fa in 5 minuti.

Alla fine, comunque, arriviamo al termine di questa fatica, nel punto in cui l’elicottero ha spazio sufficiente per appoggiare i pattini e farci salire.

Prendo il cellulare per chiamare Hansi (il pilota) ma con amarezza mi rendo conto che il telefono è irrimediabilmente rovinato dall’acqua.
Un paio di tentativi, provo ad aprirlo ed asciugare i contatti, ma non c’è niente da fare. Nel frattempo anche Paolo, capito il mio problema, prende il suo cellulare e … non va!
Anche il suo è da buttare!

Finalmente in cengia!


Non vogliamo crederci, scendere lungo la via normale in queste condizioni sarebbe una prova durissima. Un’ultima speranza: tentiamo con il telefono di Tony e … funziona, grazie a Dio! Ora siamo felici. Dieci minuti di attesa ed ecco, in lontananza, il rumore dell’elicottero che si avvicina, una musica per noi.

Con la bravura che lo contraddistingue Hansi posa i pattini sulla cengia,  con una velocità e destrezza degne della sua fama di pilota eccezionale. Saliamo a bordo e con una picchiata vertiginosa in meno di un minuto siamo al rifugio, dove veniamo accolti calorosamente.

Ricorderò sempre il piacere provato nel mangiare la calda e fumante minestra. Per metà abbiamo dovuto farlo con dei pezzi di pane nelle mani, perché dal freddo queste tremavano ancora così tanto che era impossibile reggere fermamente il cucchiaio. Poi, finalmente, saliamo in auto e ci avviamo verso casa.
Ora piove nuovamente.

Conclusione

In serata chiamo Davide. Mi racconta della sua discesa in corda doppia, se l’è vista brutta pure lui. Ha dovuto aiutare gli spagnoli, che avevano completamente perso la testa e non sapevano più che cosa fare.
Una volta alla base della parete, ha provato più volte a chiamarci con forti grida, ma era impossibile per noi sentirlo.
Dopo mezz’ora di tentativi ha desistito, ormai sconsolato: mi confesserà che ci credeva morti.

Quanto a noi, penso che il fatto di essere due scalatori con un alto livello di arrampicata in falesia sia stato irrilevante.

Tony Scott e Enrico Maioni

Sono invece convito che a fare la differenza sia stata l’esperienza accumulata in tanti anni di uscite in montagna, centinaia e centinaia di vie facili e difficili salite nelle condizioni più disparate.

E mi piace credere, per concludere, che un atavico istinto trasmesso ai nostri geni da generazioni di alpinisti e montanari ci abbia aiutato e guidato nel prendere le decisioni migliori.