Emiliano Osta, alpinista dal cuore d’oro
Tra i numerosi personaggi che hanno calcato la scena alpinistica ampezzana, Emiliano Osta merita sicuramente un ricordo. Originario di Padola, frazione del comune di Comelico Superiore, nel cuore del Cadore, negli anni sessanta Emiliano era Vigile del fuoco in servizio temporaneo nella caserma di Cortina.
Nato nel 1944 si avvicinò non ancora ventenne al mondo dell’arrampicata, che divenne subito la grande passione della sua breve vita, come possiamo leggere sul suo diario:
“1963: inizio con grande modestia a stringere le mani inesperte sugli appigli delle pareti che milioni di volte avevo sognato di scalare. Finora solo con gli occhi e con il cuore ho scalato le mie sacre montagne, coltivando così la passione che da sempre mi ha rapito.”
Fu inoltre anche un eccelso bobbista: nel 1968 l’equipaggio composto da Osta, Zardini, Dimai e Toscani conquistò il secondo posto al campionato europeo a St. Moritz, ed Osta ottenne anche un ottimo terzo posto, ancora insieme a Toscani, ai campionati italiani di Cervinia nello stesso anno.
Un articolo in suo ricordo, scritto da Giovanna Orzes Costa, fu pubblicato nel 1980 sul “Candido nuovo”, rivista politica di quei tempi. Successivamente, sulla rivista “Le Dolomiti Bellunesi” del Natale 1988, lo scritto fu ripreso con l’aggiunta di alcuni pensieri del fratello Giorgio e dello scrittore Italo Zandonella Callegher.
Come leggeremo in seguito Emiliano Osta “ammirava molto il gruppo degli Scoiattoli, quel manipolo di uomini affiatati ed efficientissimi. Ammirava soprattutto il loro “CAPO”, Lorenzo Lorenzi. Come Vigile, aveva avuto l’opportunità di aggregarsi a loro negli interventi di soccorso, però limitandosi ad armeggiare con i gruppi elettrogeni, oppure fungere da autista; un “manovale” insomma. Il suo sogno più grande era quello di poter essere con loro in croda, armeggiare con corde e chiodi, rischiare con loro, aiutare in modo diverso chi era in difficoltà sulle impervie pareti. Pian piano riuscì nell’intento e cominciò a partecipare attivamente alle azioni di soccorso, accanto agli Scoiattoli.”
In pochi anni il giovane Vigile del fuoco incrementò notevolmente il suo livello tecnico in arrampicata, ripetendo alcune delle vie dolomitiche più difficili di quei tempi, talvolta in solitaria.
Pur non facendone ufficialmente parte, fu da subito benvoluto ed accolto come aggregato nel sodalizio degli Scoiattoli, con i quali strinse una sincera amicizia. Fu compagno di corda di molti di loro, soprattutto arrampicò con Ivano Dibona.
Purtroppo però non ebbe il tempo di esprimere al meglio tutto il suo talento di abile scalatore, ed il 28 luglio 1968, a soli 24 anni, Emiliano Osta cadde dallo spigolo del Sasso di Selvapiana, nel gruppo del Popèra, travolto da un lastrone di roccia che si staccò al suo fianco trascinandolo a valle.
Il destino volle che Ivano Dibona, suo compagno di tante scalate, perdesse la vita soltanto sei giorni dopo cadendo dallo spigolo Dibona sulla Cima Grande di Lavaredo.
Così lo ricorda il fratello Giorgio
Ero piccolo, avevo appena finito le medie. Eri un fratello assente, non ti vedevo quasi mai. Ricordo quel sabato 27 luglio. Già vent’anni. Arrivasti a casa nel tardo pomeriggio.
Avevamo la casa affittata. Noi, come al solito, nel periodo estivo, dormivamo nel sottotetto. La mamma ti sistemò in un letto a castello nella piccola mostra di mobili che avevamo allora. Dopo cena mi portasti nel bar di Cesare. Non ero quasi mai uscito la sera. Ti ero vicino, ma ti sentivo lontano. Forse già pensavi al domani, quel domani che ti avrebbe visto impegnato sulla Spalla del Popèra su di una via nuova; una via sognata forse tante volte; una via su quelle montagne che amavi più di tutte, perché erano le Tue montagne. Viste e riviste tante volte, sognate e risognate e sempre nuove.

Cesare ti chiese: “gnu vast’ dumàn?” (dove vai domani?). “Ma, quassù sul Popèra”. “Chi viene con te?” Richiese Cesare. “Vedrò di tirar su qualcuno”. Non immaginavi che quel qualcuno ti avrebbe raccolto alla base della parete. Mi dicesti: “eh, vedrai che fra qualche anno ti insegnerò ben io ad andar per crode”. Forse non capii. Bevesti un genepì. Che roba era? Me lo facesti assaggiare. Con grande disgusto deglutii un sorso di quella robaccia. “Bisogna ben essere dei duri per trangugiare di quella roba”, pensai. Ritornammo a casa.
Non ti vidi mai più. L’indomani qualcuno chiamò l’altro mio fratello più grande, e gli disse d’andare subito al Lunelli perché Emiliano ero caduto. Non ricordo altro. Solo tanta gente, tanti amici che venivano piangenti a salutarci. Non ti conoscevo bene. Ho imparato o conoscerti solo dopo, attraverso fotografie e scritti.
Poi anch’io mi sono avvicinato alla montagna; non al tuo livello, ma ho ben capito perché t’han dato quella medaglia. Non per onori occulti, ma per l’altruismo che hai manifestato, insieme ai tuoi amici Scoiattoli, nel tirar giù gente in difficoltà dalle più impervie pareti. Sicuramente perché potessero ritornare su quelle montagne, a munificiarsi della bellezza, della potenza dei monti, attratti ed affascinati dal carisma che la montagna ha verso chi sa coglierne í più reconditi segreti.
Giorgio
Emiliano Osta ed il Soccorso Alpino
Breve ricordo a 20 anni dalla scomparsa, di Giovanna Orzes Costa – G.I.S.M.
(Tratto da “Le Dolomiti Bellunesi” – 1988)
All’alba di quello splendido 22 giugno 1968, Emiliano era ormai giunto ai piedi della Torre Grande delle Cinque Torri d’Averau. Emiliano era Vigile del fuoco, in servizio temporaneo nella caserma di Cortina. Aveva ottenuto il permesso d’addestrarsi in roccia; lo stesso comandante provinciale aveva approvato questa eccezione e così gli era consentito dedicare qualche ora al giorno alla montagna ed affinare la tecnica dell’arrampicare. Amava molto la montagna; per lui era una signora da rispettare e da trattare con il massimo rispetto e riguardo, quasi con distacco.
Ammirava molto il gruppo degli Scoiattoli, quel manipolo di uomini affiatati ed efficientissimi. Ammirava soprattutto il loro “CAPO”, Lorenzo Lorenzi. Come Vigile, aveva avuto l’opportunità di aggregarsi a loro negli interventi di soccorso, però limitandosi ad armeggiare con i gruppi elettrogeni, oppure fungere da autista; un “manovale” insomma.
Il suo sogno più grande era quello di poter essere con loro in croda, armeggiare con corde e chiodi, rischiare con loro, aiutare in modo diverso chi era in difficoltà sulle impervie pareti. Pian piano riuscì nell’intento e cominciò a partecipare attivamente alle azioni di soccorso, accanto agli Scoiattoli. Il sogno diventò realtà.
Quella mattina di giugno dunque, Emiliano aveva lasciato la caserma ch’era ancor buio e, all’alba, aveva già attaccato la Miriam, splendida via di 5°. Saliva spedito. Ogni tanto sostava un attimo per guardare il mondo sotto di lui. Attorno, la Croda da Lago, il Sorapìs, l’Antelao… si stavano indorando di luce.
Era felice. Forte e sicuro, cercava e trovava gli esili appigli, mentre il sole cominciava a scaldargli le mani. Entusiasticamente. Sogni di conquiste maggiori stavano per realizzarsi ormai. Saliva e saliva, guardava intorno quelle montagne della conca Ampezzana, note, famose e ormai sfruttate. Pensava ai suoi monti del Comelico, al Gruppo del Popèra, soprattutto. Se fosse riuscito a diventare guida alpina, sogno recondito, avrebbe potuto forse contribuire a far conoscere ed apprezzare anche questo piccolo, ma imponente lembo di montagne.
Scese per la normale fin alla base della Torre, ma non si sentiva stanco. Aveva voglia di fare ancora qualcosa. Ma, forse! … guardava quella via, salita alcuni giorni prima con altri. La via di Bruno Menardi, Sergio Lorenzi e Giusto Zardini. Una via di soli 130 metri, ma tutta oltre il 6° grado.
Bruno l’aveva dedicata alla fidanzata chiamandola Via Germana.
Provo, pensò. Poi, come spesso accade, una carica particolare, uno stato d’animo inconsueto ti fa andare avanti e far cose altrimenti impossibili. Dal rifugio Cinque Torri i numerosi presenti seguivano la sua salita, forse pregavano per quell’incosciente. Ma poi… potevano finalmente gridare e esternare ammirazione.
La sera a Cortina non si parlava d’altro. Il comandante del distaccamento dei Vigili, anche lui rocciatore, era il più felice di tutti. Trasmise la notizia ai comandi superiori e la stampa dedicò un attimo di gloria al pompiere-scalatore.
Emiliano continuava a partecipare alle operazioni di soccorso accanto a quegli Scoiattoli che ammirava sempre più. Era sempre in “prima linea”, come si suol dire, e con enorme spirito di sacrificio divideva con gli amici le notti insonni ed al freddo per cercare di salvare, o recuperare, qualche sventurato amante della montagna, come lui, che forse per sfortuna o per sopravvalutazione delle proprie capacità, si trovava ora in pericolo.
Tornando indietro nel tempo, il 4 settembre 1967, gli Scoiattoli, Emiliano compreso, effettuarono un difficile salvataggio. Sulla via Minuzzo, alla Cima Grande, due alpinisti erano rimasti incrodati ed in gravi difficoltà. L’allarme era stato dato nel tardo pomeriggio. Ugo Taigger e Hans Steppat erano stati sorpresi da una tempesta di neve e uno era volato e giaceva ferito su uno spuntone di roccia. Malgrado l’ora tarda, le squadre di soccorso partirono. Soccorso Alpino, Vigili del Fuoco, Carabinieri, Finanza, si misero in moto ben sapendo che una notte in quelle condizioni non avrebbe lasciato speranze per i due sfortunati lassù. Sotto la burrasca, alla luce dei generatori, dopo interminabili ore raggiunsero i due che, dopo altre dure fatiche, vennero tratti in salvo. Sette giorni dopo altro soccorso difficile sulla Cassin; vennero tratti in salvo due altoatesini di Merano. Altri soccorsi seguirono.
Ma l’impegno più gravoso s’ebbe nell’estate del ’68. Il 17 luglio, sulla direttissima della Ovest, due alpinisti germanici erano in gravi difficoltà. Per salvarli vennero impiegate 24 ore filate. Si trattava di Karl Hermann e Trans Seeberger.
Anche in questa occasione i soccorritori agirono sotto la neve e con gravi pericoli. Il 25 luglio Emiliano partecipò al salvataggio di altri due tedeschi, Voller Helmuth e Stippa Inger, sorpresi dalla tormenta sulla Dimai-Comici. In questi casi si trattava di esperti notissimi nel mondo alpinistico.
I soccorsi si susseguirono con ritmo impressionante.
Un anno incredibile il ’68.
L’eco delle generose e pericolose imprese raggiunse Roma e Bonn. Nella primavera del 1969 il 29 marzo, a Cortina arrivarono molte autorità. Il Presidente della Repubblica voleva premiare il nobile Sodalizio ampezzano con le onorificenze e le medaglie al merito della Repubblica.
Nel contempo, il presidente della Repubblica Federale Tedesca, tramite il console germanico in Milano, dott. Seibt Dankmar, aveva concesso 19 medaglie al merito della Repubblica di Germania, agli Scoiattoli di Cortina e Collaboratori.
Fu una cerimonia memorabile. Una delle medaglie al merito fu assegnata “ALLA MEMORIA”. Quella di Emiliano. La ritirò il Papà.
Già! II 28 luglio del 1968, su quella montagna del Popèra che amava tanto, Emiliano cadde.
Sfortuna? Destino? Chi sa! Fatto sta che dopo solo un tiro di corda, sotto un tetto, Emiliano piantò un chiodo, agganciò il moschettone, poi un lastrone di roccia si staccò al suo fianco e lo trascinò a valle. Sarebbe bastato ancora un minuto poi la corda passata in quel chiodo, forse, lo avrebbe trattenuto a quella roccia che, invece, l’ha tradito.
II suo comandante, l’ing. Biasutti, scrisse: “Volevi diventare Guida Alpina, Emiliano: la nostra guida, perché proprio il nostro Istruttore saresti diventato. Sarai per noi tutti Guida per sempre, coll’esempio delle tue meravigliose imprese e con le qualità morali e spirituali del tuo sensibilissimo e nobilissimo animo generoso.
Riposa in pace, ora. Noi ti ricorderemo sempre con immutato affetto, con ammirazione ed orgoglio per le magnifiche prove d’altruismo nei soccorsi più difficili che in vita ci hai saputo dare”.
Dal 1969, per volontà della famiglia di Emiliano, il CAI Val Comelico organizza a Selvapiana, presso il rifugio Lunelli, la “Giornata del RICORDO”. Con il passar degli anni e l’inevitabile aggiungersi di altri tragici eventi, questa giornata vuole oggi ricordare non solo Emiliano Osta ma anche tutti quelli che hanno perso la vita in montagna, scalandola o semplicemente frequentandola, ed anche i caduti della Grande Guerra, che sul gruppo del Popera (Monte Popéra, Cima Undici e Passo della Sentinella) e della Croda Rossa scrissero una sanguinosa pagina della nostra storia.