Oggi voglio raccontarvi della Croš del Griš (la lettera š si pronuncia come in italiano liscio, fascio), una storia vera, un episodio accaduto molti anni fa e di cui pochi conoscono i dettagli.
Ma, mi correggo, non sarò io a raccontarvi questa storia, lo farà Luca Dell’Osta, che molto gentilmente mi ha concesso di pubblicare qui un articolo da lui scritto pochi anni fa.
Da tempo mi interessava scoprire gli eventi collegati alla Crosc del Grìš; sapevo poche cose ed ero curioso, mi sarebbe piaciuto saperne di più ma le mie ricerche, peraltro non molto approfondite, non dettero i frutti sperati.
Finché, per puro caso, pochi giorni fa mi ritrovo a leggere lo scritto di Luca. Non conosco il Dell’Osta, ma appena interpellato si è rivelato molto disponibile, e lo ringrazio per questo.
Molti escursionisti sono passati in prossimità della Crosc del Gris, ma come ho detto certamente non tutti ne conoscono la storia ed ho ritenuto interessante pubblicarla online.
A chi invece non conoscesse questo luogo bastano poche semplici indicazioni per raggiungerlo: da Malga Ra Stua ci si incammina lungo la stradina che conduce a Sennes ed in breve si raggiunge Campo Croce.
Qui, a quota 1760m ca. si devia a destra (est) sul sentiero Cai 26 che si inerpica ripido fino a portarci a quota 2190 m ca. dove è infissa la Crosc del Gris.
Come alternativa, più impegnativa, segnalo che anche il “Sentiero Zero” porta alla Crosc del Gris.
Ed ora, spazio al bel racconto di Luca.
Crosc del Grìš
di Luca Dell’Osta
Questa è una storia vera.
Una storia di luoghi, di persone, di sentimenti violenti. Una storia che viene tramandata di padre in figlio, che si perde nella notte dei tempi, tra i boschi e i pascoli di alta montagna. Oggi, a ricordarla, restano solo una croce, una targa di bronzo, un panorama mozzafiato e l’eco di un urlo che si confonde con il rumore della pioggia che scende copiosa e bagna la roccia, si infila tra le fessure, dà vita ai pascoli e alla terra seccata dal feroce sole estivo. E restano anche poche righe nei registri parrocchiali che, dal surreale, ci riportano violentemente – com’è violenta questa storia – a contatto con la realtà.
Una casella vuota vicino al nome di lei; deceduto «per uccisione» è quanto riporta il registro vicino al nome di lui. Due parole in un vecchio e polveroso archivio per ricordarci che, questa, è una storia vera.
È il 1848. Il vento rivoluzionario sta per soffiare sopra tutta l’Europa, e le grandi casate regnanti ne usciranno indebolite. È il fallimento della Restaurazione, della politica del Congresso di Vienna; il segno che gli ideali della Rivoluzione francese e di Napoleone possono ancora trionfare nel Vecchio Continente.
Nel giro di pochi mesi niente sarà più come prima.
Su al nord, al confine tra l’impero Asburgico e quella che fino a pochi anni prima era stata la Serenissima Repubblica di Venezia, in una straordinaria vallata che sembra non respirare ancora l’inebriante profumo della lotta per la libertà, vivono due giovani; lei, Anna Maria, abita con la famiglia e aiuta la madre nelle faccende di casa. È giovane, bella; lui, Simone Alverà detto Griš, “grigio” nell’idioma locale, l’ampezzano, è un robusto giovanotto, un po’ rude come tutti i montanari, pastore di pecore sui pascoli di Foses.
I due si conoscono; si incontrano, e poi sboccia l’amore. Convolano a nozze nel giro di poche settimane, insieme ad altre coppie, il 29 febbraio del 1848, poco prima dell’inizio della Quaresima, periodo durante il quale il diritto canonico vieta i matrimoni. Il 29 febbraio è un giorno non comune – c’è solo ogni quattro anni! Verrà ricordato, in Ampezzo, così come l’Europa ricorderà il 1848. È la fine di febbraio: in lontananza si sente già il rumoreggiare dei cannoni e dei fucili. Nel giro di pochi mesi niente sarà più come prima.
La neve scende, lenta. Il consueto e brillante verde dei prati di Foses è diventato bianco, candida coltre di neve che copre ogni cosa: pascoli, rocce, sentieri, sassi, piante; il piccolo lago è coperto da una sottile lastra di ghiaccio.
Ma c’è ancora vita: le marmotte dormono nelle loro tane sottoterra, in attesa della primavera; appena la neve, che continua a scendere, si dirada, ecco in lontananza due piccoli camosci che si inerpicano sulle rocce, lasciando le loro nitide orme nella neve fresca.
Poi arriva il vento: soffia via la neve, le nuvole, il gelo. Sta arrivando la primavera.
«Amatevi, ma non tramutate l’amore in un legame», avrebbe scritto di lì a qualche anno il poeta libanese Gibran Khalil. Anna Maria e Simone si amano, vanno a vivere insieme. Ma il legame coniugale è difficile, i tempi sono diversi dagli attuali. Simone è un brav’uomo, ma con la moglie litiga per qualsiasi inezia; lui è un uomo tutto d’un pezzo, un vero pastore, un montanaro: non sa più cosa fare per trattenere la sua donna che non resta al suo posto; volano degli scapaccioni, arrivano le cinghiate. I due non ce la fanno più a sopportare questa condizione.
Nel frattempo si avvicina la primavera, e Simone si appresta a partire per il pascolo di Foses con le pecore della Regola.
La neve è completamente sciolta. Spuntano i primi fili d’erba, e il sole fa timidamente capolino dalle montagne. Quel panorama che fino a pochi giorni prima era bianco e immacolato ora si tinge di mille colori. Sono il verde dell’erba, il blu del cielo, l’oro del sole che bacia il lago e i piccoli ruscelli che scorrono tra le rocce, il rosso del tramonto e il rosa delle montagne, l’azzurro e il giallo dei fiori. Da un piccolo cucuzzolo, proprio vicino al sentiero, lo spettacolo che si dipana agli occhi di chi si inerpica fin lassù è incredibile: la lunga e profonda valle, gli uccelli che cantano nel cielo terso, il vento che gioca con le nuvole.
La situazione è insostenibile. Simone è a Foses, insieme alle pecore. Anna Maria è giù in paese, e si appresta a salire in alta montagna per portare al marito uno zaino colmo di provviste. Prende pane, un bel po’ di grappa e vino, speck e salame, e si incammina. Ha anche un altro oggetto, nello zaino, ma questo non lo sa nessuno.
Parte all’alba, ed è a Foses quando il sole è già alto. Saluta il marito, gli offre le leccornie che ha portato dal paese, e poi lo invita a bere la grappa. Un sorso, poi un altro, e un altro ancora. Alla fine tutta la bottiglia è finita; Simone è completamente ubriaco, e fa qualche passo sul sentiero insieme alla moglie per accomiatarsi da lei. Ma non ce la fa, e crolla dormendo vicino a quel cucuzzolo dove era solito sedersi, con un filo d’erba in bocca, fischiettando, a guardare le pecore brucare i verdi pascoli. Solo allora la donna si fa coraggio. Si guarda attorno con un’occhiata furtiva, del tutto inutile lì dove a vederla sono solamente i placidi animali che belano felici. Estrae l’ascia dallo zaino.
La solleva una volta, e guarda il suo uomo disteso a terra, che dorme. Non ce la fa, appoggia l’ascia sul terreno. Ma poi la solleva di nuovo, si fa coraggio, e colpisce.
Un colpo.
L’uomo non fa in tempo a svegliarsi: è già morto.
Un altro colpo.
Un altro ancora.
Niente sarà più come prima. Il sangue gocciola dalle ferite. Impregna il terreno. L’ascia viene lasciata in parte: finirà in una buca poco lontano, vicino a quel cucuzzolo dal quale Simone ammirava le sue montagne.
L’erba si è tinta di rosso; il cielo è pieno di nuvole, scoppia un temporale estivo. Prima il lampo, e dopo qualche secondo il rombo cupo del tuono. La pioggia porta via il sangue in un piccolo rivolo; la pioggia lava la vita, cancella le tracce di un efferato omicidio. Restano testimoni le millenarie e possenti montagne, il vento che rumoreggia tra le crode, l’acqua che spumeggia scendendo a cascata dalle rocce. I fiori continuano a crescere, silenziosamente, rivestendo di bellezza quel luogo di meraviglie.
Il sangue è stato lavato; ora resta soltanto un paradiso terrestre, lontano dallo sguardo dei turisti, ma che è d’obbligo andare a gustare. Preludio alle dolcezze di un altro paradiso?
Nessuno sa che fine abbia fatto la donna. Qualcuno parla dei Piombi, a Venezia, come crudele ma giusta punizione.
Salendo a Foses, su quel cucuzzolo, oggi c’è una croce. Sedetevi, come faceva Simone, a guardare il panorama. Fatevi rapire dalla bellezza, restate senza fiato, ricordatevi di quello che successe lì, più di un secolo fa, il 3 agosto 1848. Scrutate, aguzzate lo sguardo, respirate a fondo.
Pensate a questa storia, a questa storia vera.
E niente sarà più come prima.
Articoli correlati:
Ra Crosc de Ester
La Croce del Pomagagnon
.