Il camoscio alpino (Rupicapra rupicapra)
Molto diffuso sulle Dolomiti, il camoscio alpino è un ungulato appartenente alla famiglia dei Bovidi. Molto somigliante alle capre, viene incluso con esse e con le pecore nella sottofamiglia dei Caprini.
É piuttosto simile all’unica altra specie del genere Rupicapra, il camoscio dei Pirenei (Rupicapra pyrenaica), ed è presente localmente anche in Italia con una sottospecie endemica, il camoscio d’Abruzzo (Rupicapra pyrenaica ornata).

Distribuzione
I resti fossili più antichi di camoscio sono stati rinvenuti sui Pirenei e risalgono a 250-150.000 anni fa (Glaciazione di Riss).
La massima diffusione della specie si ebbe tra gli 80.000 e i 12.000 anni fa (Glaciazione di Würm): in quest’epoca, spinto dall’incalzare dei ghiacciai, il camoscio si distribuì in quasi tutta l’Europa centrale e in parte di quella centromeridionale.
Le successive mutazioni climatiche ed ambientali privarono questo Ungulato (nelle zone meno elevate) dell’habitat idoneo alla sua sopravvivenza; conseguentemente il suo areale di distribuzione si ridusse e frammentò e incominciarono così a differenziarsi le diverse sottospecie.
Oggi il camoscio è presente nei sistemi montuosi del centro e sud dell’Europa. Agli inizi del 1900 è stato introdotto in Nuova Zelanda.
In Italia il camoscio è diffuso sui pendii montani delle Alpi con una popolazione che nel 1995 contava più di 100.000 unità ed è in espansione.
La maggiore presenza di individui è riscontrabile nelle province di Belluno, Trento e Bolzano ed in Piemonte, nei cui territori risulta al momento concentrato il 62% dei camosci alpini italiani.
Dal 1994 si è insediato nel Carso triestino un piccolo gruppo di camosci probabilmente a seguito di una immissione illegale: questo evento ha spinto la Provincia di Trieste ad avviare uno studio per valutare la compatibilità della specie con l’ambiente locale
Anatomia e morfologia
Il camoscio è un Ungulato che, per forme e dimensioni corporee e per la sua agilità, è assai più prossimo alle antilopi e alle saighe che non agli altri Bovidi che oggi condividono con lui l’ambiente alpino: stambecco (Capra ibex), muflone (Ovis musimon) e Capra selvatica (Capra aegagrus).
Taglia e peso del camoscio alpino
La lunghezza totale del corpo del camoscio, misurata dall’estremità della testa alla radice della coda, varia tra 130 e 150 cm nel maschio, e tra 105 e 125 cm nella femmina.
L’altezza, misurata al garrese, varia tra 85 e 92 cm nel maschio e tra 70 e 78 cm nella femmina.
Il peso corporeo è influenzato innanzitutto dall’età e dal sesso, e il valore massimo viene raggiunto intorno ai 5-9 anni: nei maschi adulti tale valore può raggiungere i 50 kg, nelle femmine adulte i 40-42 kg.
Negli yearlings (animali di un anno compiuto) il peso si aggira sui 15-20 kg. Il peso varia notevolmente nel corso dell’anno. I valori massimi si raggiungono nel periodo di maggiore accumulo del grasso, che corrisponde al mese di ottobre.
I maschi adulti, al termine del periodo riproduttivo, arrivano a perdere quasi un terzo del loro peso corporeo, a causa del forte dispendio energetico durante le lotte tra rivali.
In generale comunque, tra gennaio ed aprile si ha una diminuzione della massa corporea in tutti i soggetti, provati dalle dure condizioni invernali.

Le impronte del camoscio
La dimensione dell’impronta del camoscio è di circa 6 x 3,5÷5 cm
di forma rettangolare con zoccoli di forma e aspetto più allungato e rettilineo rispetto allo stambecco.
Corporatura
Nel maschio la sagoma generale è più tozza, con maggior sviluppo del treno anteriore, mentre la femmina si presenta più longilinea, con preponderanza dell’addome e del treno posteriore.
Il collo, corto e tozzo nel maschio, è sottile nella femmina, tanto da dare l’impressione che quest’ultima abbia il muso più allungato rispetto al maschio.
Mantello
Il mantello del camoscio è essenzialmente costituito da due tipi di pelo, in grado di proteggerlo dalle difficili condizioni climatiche dell’ambiente in cui vive. Esso fornisce una protezione ottimale che permette all’animale di sopportare le forti escursioni termiche cui è sottoposto.
Il pelo superficiale (lungo 2-4 cm), che costituisce la copertura più esterna, è più irsuto ed è in grado di inglobare grandi quantità d’aria, isolando termicamente il corpo dell’animale.
Lo strato sottostante, detto pelo lanoso o primo pelo, è molto fine e di colore biancastro e tende a farsi più rado nel periodo estivo.
Il mantello del camoscio è soggetto a due mute: una autunnale e una primaverile.
In inverno il pelo è lungo, morbido e folto, con una colorazione da bruno scuro a nerastro; grazie alla tonalità scura il pelo assorbe in larga misura i raggi solari, garantendo all’animale un’ulteriore fonte di calore. Le sole parti chiare sono la zona nasale, quella ventrale e lo specchio anale.
In questa stagione, nei maschi, la silhouette è caratterizzata dal cosiddetto “pennello”: un ciuffo di peli nella regione prepuziale, molto evidente dopo il quinto anno di età ma già ben accennato verso i tre anni.
Molto sviluppata nel maschio, ma presente anche nella femmina, è la “barba dorsale”: una fascia di lunghi peli scuri (6-7 cm in estate, ma possono raggiungere i 30 cm nel periodo degli accoppiamenti) che si sviluppa lungo la linea mediana e che risulta folta soprattutto a livello del garrese e della groppa. Essa viene rizzata dall’animale quando si trova in situazione di pericolo o vuole affermare la propria dominanza nei confronti di un rivale.
La muta primaverile inizia a marzo e dura oltre tre mesi.
Lo scuro manto invernale del camoscio è allora sostituito da quello estivo, caratterizzato da peli più corti e ruvidi, con tonalità che vanno dal giallastro pallido al grigio rossastro.
Fanno contrasto, per il colore più scuro, gli arti e, sul muso, una mascherina tra l’occhio e il labbro superiore. In entrambi i sessi una sottile linea di peli scuri segue la linea mediana dorsale. Questo manto viene conservato fino a fine agosto, quando incomincia la muta autunnale che si protrarrà fino a dicembre. Sono stati riscontrati casi di melanismo e di albinismo che comportano il mantenimento di un pelo rispettivamente quasi nero o quasi bianco per tutta la vita dell’animale.
Corna del camoscio
Le corna del camoscio, relativamente piccole e di un caratteristico nero ebano (o bruno scuro), sono permanenti (a differenza dei Cervidi, che le hanno caduche), comuni ai due sessi e presentano una tipica forma ad uncino, con sezione circolare. Possono raggiungere una lunghezza di 20 cm.
Sono composte da due parti ben distinte: la cavicchia ossea e l’astuccio corneo. Le cavicchie ossee sono protuberanze in continuità con l’osso frontale e perpendicolari ad esso. L’astuccio corneo, composto da cellule epidermiche morte e cheratina, le circonda completamente.
La crescita annuale avviene a fasi alterne: durante la primavera (marzo-aprile), si ha la produzione di tessuto osseo, che si deposita alla base dell’astuccio; in inverno il processo si arresta per l’azione antagonista degli ormoni sessuali. Si formano così dei solchi anulari, visibili sulla superficie esterna del rivestimento corneo: si tratta dei cosiddetti “anelli di crescita” (o “anelli di giunzione”), il cui conteggio permette una valutazione attendibile dell’età dell’animale. Iniziano a crescere fin dalla nascita e risultano visibili già in tenera età.
L’accrescimento è maggiore nei primi tre anni di vita e minore negli anni successivi.
Generalmente la crescita delle corna nel capretto è di 6-7 cm, quella nel camoscio di 1 anno è di 6-10 cm e quella nel camoscio di 2 anni è di 3-6 cm. Nel maschio di 3 anni la crescita scende a 1-1,5 cm, e in quello di 4 anni essa arriva soltanto a 0,5 cm. A 5 anni il corno si restringe alla base, attorno alla cavicchia, e la crescita si limita negli anni successivi a 1-3 mm.
Il peso del solo astuccio corneo raggiunge i 70 g, un’inezia, se confrontato con i 3-6 kg dello stambecco. Lo sviluppo delle corna non presenta sostanziale differenza tra i sessi; tuttavia, quelle del maschio presentano generalmente un diametro maggiore a livello della base, un’uncinatura più marcata (angolo di curvatura pari in media a 24°, contro i 51° nella femmina), e sono meno distanti tra loro nel punto di inserzione.
Sulle corna dei maschi adulti si trovano frequentemente tracce di resina, dovute all’attività di sfregamento (“horning”) contro alberi di conifere, praticata soprattutto durante il periodo riproduttivo. Il camoscio d’Abruzzo ha le corna più lunghe di quelle del camoscio alpino.
Ghiandole e organi di senso
Il camoscio possiede ghiandole interdigitali, prepuziali e sovraoccipitali, le cui secrezioni sono probabilmente utilizzate nella comunicazione intraspecifica.
Le ghiandole sovraoccipitali (delle dimensioni di una noce), presenti in entrambi i sessi, sono particolarmente sviluppate nei maschi durante il periodo riproduttivo (iniziano a crescere da settembre). La loro secrezione è utilizzata per marcare il territorio, quando l’animale sfrega la testa e le corna contro arbusti e rocce.
Sembra che la sostanza fortemente odorosa rilasciata da queste ghiandole abbia anche la funzione di stimolare nelle femmine la predisposizione all’accoppiamento. Per tale motivo esse sono anche chiamate “ghiandole della fregola”.
Il camoscio è dotato di una buona capacità olfattiva, ma anche di una buona vista proprio in relazione al suo biotopo, in gran parte aperto, che può determinare a volte una informazione olfattiva non molto affidabile, ad esempio a causa della variazione dei venti.
Particolarità anatomiche
Il camoscio ha subìto adattamenti morfologici e fisiologici che gli hanno permesso di sopravvivere in ambienti dirupati e con forte innevamento.o camosci camoscio camoscio camoscio camosci camoscio
Particolarmente adatto per la vita in montagna è lo zoccolo bidattilo (3° e 4° dito) con parti e durezza differenziate: il bordo esterno, duro ed affilato, permette di sfruttare i più piccoli appigli sulla roccia; i morbidi polpastrelli, aumentando l’attrito, evitano le cadute e le scivolate in discesa.i
Le dita dello zoccolo del camoscio sono divaricabili e munite di una membrana interdigitale che fornisce una più ampia superficie d’appoggio, consentendo agili spostamenti anche sulla neve.
Il cuore, piuttosto voluminoso, è dotato di spesse pareti muscolari che garantiscono il mantenimento di una frequenza cardiaca di duecento battiti al minuto ed un’elevata portata sanguigna; questo permette al camoscio di risalire lunghi e ripidi pendii senza sforzi eccessivi.
Un’ampia capacità polmonare e un elevato numero di globuli rossi (11-13 milioni per mm3) forniscono un’ottima ossigenazione del sangue anche in condizioni di alta quota, dove l’aria è più rarefatta.
Longevità e aspettativa di vita
I camosci possono raggiungere in teoria i 25 anni di età, ma in realtà pochi superano i 15-16 anni. Dai 10 anni inizia la fase di “vecchiaia”, il loro peso diminuirà costantemente fino alla loro morte. Il pelo perde il proprio colore diventando man mano sempre più grigiastro.
Da questa età in avanti inizia ad aumentare il tasso di mortalità, che cresce ulteriormente superati i 14-15 anni. Il fattore che più incide in tale crescita è l’usura dei denti: essa condiziona talmente la capacità di procurarsi il cibo che pochissimi individui sono in grado di superare i 21-22 anni.
É importante osservare che, analogamente agli esseri umani, le femmine hanno una aspettativa di vita più elevata.
I capretti (gli individui al di sotto di un anno di età) hanno un’aspettativa di vita del 50-70% in inverno e del 90% circa in estate.
Habitat del camoscio
Il camoscio alpino vive di solito a quote comprese tra gli 1.000 e i 2.800 m di altitudine, includendo quindi l’orizzonte montano, caratterizzato da boschi di conifere (larice, abete rosso, pino silvestre e abete bianco) e/o latifoglie (faggio, castagno, con ricco sottobosco) intervallati da pareti rocciose e scoscese, l’orizzonte subalpino (con larici sparsi e macchie localizzate di ontano, pino mugo e rododendro) e l’orizzonte alpino (pascoli e zone rocciose al limite della vegetazione).
Nei periodi in cui la copertura nevosa è assente (maggio-ottobre) l’habitat ottimale è costituito da ambienti con vegetazione aperta, le praterie alpine di alta quota (sopra i 2.000 m). In questo periodo è facile osservare i camosci ai limiti dei nevai, sui pendii erbosi in ombra, negli anfratti rocciosi e sugli sfasciumi esposti a Nord.
Nel periodo dei parti (maggio-giugno) le femmine gravide hanno però un comportamento differente rispetto ai conspecifici; mentre questi (maschi adulti, giovani immaturi e femmine non gravide) risalgono progressivamente in quota seguendo il ricaccio dell’erba,esse si spostano per il parto su pendii poco accessibili o addirittura su pareti a strapiombo.
Nei mesi estivi il camoscio si può incontrare anche a quote molto elevate: Couturier riporta l’osservazione di un soggetto a ben 4.750 metri di quota, non lontano dalla vetta del Monte Bianco.
In inverno (novembre-marzo) il camoscio scende a quote inferiori e tende a preferire zone a vegetazione arborea rada (ad esempio boschi di larice) e con esposizioni ad alto irraggiamento solare (Est e Sud-Est), intervallati da versanti ripidi e rocciosi, dove si accumula poca neve. In queste aree riesce a nutrirsi e a spostarsi con minor dispendio di energie rispetto alle zone dove la coltre nevosa è più spessa.
J. Hamr seguendo alcune femmine nel Tirolo settentrionale ha rilevato la tendenza, da parte di alcuni branchi, a spostarsi in zone densamente forestate durante prolungati (2-5 giorni) periodi di pioggia, di forti venti (100 km/h) o in seguito all’attività di caccia attuata dall’uomo.
La scelta dell’habitat varia a seconda della stagione, e sono le disponibilità alimentari e la sicurezza di una via di fuga a determinare la scelta.
L’habitat ottimale estivo è rappresentato dalle praterie alpine, che offrono un’ampia varietà, altamente appetita, di specie vegetali a diverso grado di maturazione.
In inverno sono i ripidi pendii e le pareti rocciose ad essere preferiti, per lo scarso innevamento che lascia disponibile la vegetazione di suolo.
Di fondamentale importanza, in ogni caso, è la presenza di zone rocciose e accidentate, frammiste alle zone di pascolo e utilizzate come vie di fuga in caso di minaccia.
Proprio l’assenza di zone scoscese sarebbe il fattore limitante per l’utilizzo di pascoli di fondovalle (attorno agli 800-900 m) che altrimenti rientrerebbero nell’intervallo di tolleranza climatica di questa specie.
Secondo altri studi anche altri fattori ambientali, oltre la disponibilità di cibo e di vie di fuga, intervengono sulla scelta dell’habitat da parte del camoscio: l’esposizione dei versanti, l’inclinazione e le condizioni climatiche della zona in cui l’animale vive. L’esposizione risulta importante soprattutto nei mesi invernali.
Altrettanto può dirsi dell’inclinazione, anche se viene sottolineata l’attitudine sempre rupicola della specie
La presenza di versanti con un’inclinazione compresa tra i 30 ed i 45-50 gradi viene considerata un elemento favorevole per la sopravvivenza invernale della specie.
Controversa è, invece, la valutazione sull’importanza delle precipitazioni nevose e della permanenza della neve al suolo.
A differenza dello stambecco, il camoscio si sposta sulla neve con notevole disinvoltura, favorito dal particolare adattamento dello zoccolo. Tuttavia le aree meno innevate, o prive di neve, sarebbero nettamente preferite secondo alcuni autori e non secondo altri.
Comportamento sociale del camoscio alpino
Il camoscio viene descritto come un animale “gregario” e il comportamento sociale sembra essere legato alla esistenza di gerarchie all’interno dei gruppi.
In realtà, essendo l’organizzazione sociale di una specie in stretta relazione con il comportamento degli individui che la compongono, questa definizione risulta essere valida soprattutto per le femmine. Queste ultime, infatti, vivono per la maggior parte dell’anno in gruppi di dimensioni mutevoli, regolati da diversi fattori: disponibilità alimentare, condizioni morfo-climatiche del territorio, struttura e densità della popolazione, comportamenti riproduttivi. Questi gruppi, oltre che dalle femmine, sono formati dai capretti e, talvolta, anche da qualche giovane di 2-3 anni.
Il tratto più evidente dell’organizzazione sociale dei camosci è la segregazione sessuale. Infatti, durante la maggior parte dell’anno, ad eccezione del periodo riproduttivo, gli adulti dei due sessi vivono, anche geograficamente, separati e questa tendenza si rafforza con l’età. I maschi sub-adulti (3-5 anni) tendono a vivere isolati o aggregati in piccoli gruppetti (2 o 3 individui), sono molto mobili sul territorio e compiono spostamenti altitudinali di una certa importanza. I maschi adulti tendono ad essere solitari e, durante l’anno, frequentano aree di 300-500 ha, solitamente a quote inferiori rispetto alle femmine.
Territorialità nei maschi
In autunno, con l’avvicinarsi del periodo degli accoppiamenti, i maschi di camoscio si avvicinano ai branchi delle femmine, scese a quote più basse.
Durante questo periodo, per poche settimane, marcano e difendono un proprio territorio di pochi ettari all’interno del quale tentano di trattenere le femmine mediante rituali di corteggiamento.
Il camoscio marca il proprio territorio fregando le corna contro gli arbusti, i ciuffi d’erba e le rocce in modo da depositare la sostanza odorosa prodotta dalle ghiandole ”della fregola”, situate proprio dietro il trofeo; allontana qualunque altro maschio adottando comportamenti di minaccia diretta e indiretta.
Quando un maschio maturo incontra un altro camoscio assume il caratteristico atteggiamento di “imposizione”: il collo e la testa sono portati eretti, il pelo e la “barba dorsale” vengono drizzati, i movimenti sono solenni e, a tratti, viene scrollata la muscolatura.
Questo comportamento intimidatorio è di solito sufficiente ad allontanare un animale ancora giovane, ma se l’avversario ha un “grado gerarchico” simile si può assistere a lunghi inseguimenti a velocità sostenuta che possono anche terminare con un contatto violento tra i due animali.
Riproduzione
Il periodo riproduttivo inizia solitamente a fine ottobre per concludersi nella seconda metà di dicembre; il culmine degli accoppiamenti si verifica a cavallo fra gli ultimi giorni di novembre e primi giorni di dicembre.
L’estro della femmina dura dalle 36 alle 72 ore e, se essa non è stata fecondata, si ripete dopo circa tre settimane.
Il periodo dell’estro si verifica una sola volta all’anno e modifica in modo rilevante il comportamento dell’animale. I camosci, come già detto, tendono ad essere più gregari e si possono osservare, in questa fase, branchi di 40-50 individui, che si raggruppano nelle aree dei pascoli alpini su versanti scoscesi.
Alla fine di dicembre, con il termine del calore, gli animali si separano progressivamente e riprendono le loro attività abituali.
La gestazione dura 160-170 giorni; il periodo delle nascite va quindi dal 15 maggio al 15 giugno. In generale la femmina di camoscio partorisce un solo capretto: i parti gemellari sono del tutto eccezionali.
Nei maschi la maturità sessuale viene raggiunta intorno al 18° mese di vita ma, per motivi di competitività, non si riproducono prima dei 4-5 anni di età.
Le femmine possono partorire già a 2 anni ma l’età del primo parto cade più frequentemente a 3 anni.
Legame tra femmina e capretto
L’unico legame stabile in questa specie è quello che unisce le femmine al loro piccolo dell’anno (il “capretto”), determinando in questo modo la costituzione di una società aperta e matriarcale.
Questo rapporto esclusivo si instaura durante i primissimi giorni di vita del capretto: la madre, avvicinandosi il momento del parto, si allontana dal gruppo isolandosi in un luogo idoneo e appartato.
Dopo pochi giorni dai parti, che avvengono in sincronia, si formano gruppi costituiti dalle femmine e dai nuovi nati, che si localizzano in preferenza sui pascoli alpini. Queste zone sono in grado di offrire le risorse alimentari necessarie al dispendio energetico dovuto alla lattazione e di garantire al capretto un migliore apporto nutritivo.
I pascoli alpini vengono scelti anche se, essendo zone aperte, espongono i giovani capretti al pericolo della predazione; le femmine confidano, infatti, nella presenza di un alto numero di individui che garantisce la sorveglianza collettiva dei piccoli.
Il piccolo rimane con la madre per tutto il primo anno di vita, fino al momento del parto successivo quando viene allontanato. Nel caso in cui invece la femmina non sia gravida, può capitare che questo legame si prolunghi di un anno.
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